L’idea è semplice: dato che spesso gli architetti hanno un rapporto stretto con le arti visive e spesso gli artisti traggono ispirazione dall’ambiente spaziale, in architettura come nel design, l’iniziativa della coppia di Bruxelles formata da Amaryllis Jacobs e Kwinten Lavigne si propone di cristallizzare questa vicinanza in nuove soluzioni progettuali. Così Maniera ha dato vita a un laboratorio dove architetti e artisti possono trascendere i rispettivi linguaggi attraverso la creazione di collezioni d’arredamento a tiratura limitata.
Lo standard e la pietra
A Bruxelles, Amaryllis Jacobs e Kwinten Lavigne hanno dato vita a un laboratorio dove architetti e artisti possono trascendere i rispettivi linguaggi per creare collezioni d’arredamento a tiratura limitata.
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- Wonne Ickx
- 14 maggio 2014
- Bruxelles
La prima mostra di Maniera si è inaugurata il 22 aprile, presentando pezzi dello studio d’architettura belga OFFICE Kersten Geers David Van Severen e dell’architetto e artista olandese Anne Holtrop. Lo scenario è il loft in cui i promotori dell’iniziativa abitano, ex club di musica jazz ed ex fabbrica di biancheria femminile, strizzato nel fitto tessuto urbano del centro di Bruxelles. Servendosi deliberatamente di un ambiente domestico privato Maniera sfugge, nel lancio dei suoi pezzi d’arredamento, alla tipica presentazione di oggetti d’arte in una scatola bianca.
Per questa prima mostra OFFICE KGVD ha realizzato una collezione di tre tavoli battezzati “prototipi da 1 a 3” e una sedia con una tavoletta integrata, chiamata “Solo Chair”. I tavoli, progettati in stretta collaborazione con il tecnico Arthur de Roover sono concepiti come un’indagine sull’ampiezza delle strutture e sulla resistenza dei materiali.
Le strutture portanti dei tavoli sono costituite da un montaggio di profilati industriali a L, rispettivamente di poliestere, d’alluminio e d’acciaio. La differenza di resistenza strutturale tra i profilati ha prodotto tre tavoli di dimensioni differenti, che misurano rispettivamente 100 (poliestere), 185 (alluminio) e 260 centimetri (acciaio). Uno spesso rivestimento epossidico è stato applicato alla superfice del tavolo per creare un piano di lavoro uniforme in tutti e tre i prototipi e per mitigare la freddezza dei profilati estrusi con una finitura liscia e gradevole.
La sedia è una libera interpretazione della mitica sedia “Bastone da passeggio” N. 6822 progettata dall’austriaco Thonet intorno al 1866, da tempo fuori produzione. Privata del suo meccanismo pieghevole diventa una costellazione ‘congelata’ in cui un piccolo tavolo quadrato è sospeso in diagonale sopra una seduta tonda. Lo squilibrio creato da questo tavolino laterale nella struttura triangolare è bilanciato da un peso aggiuntivo sulla gamba opposta della sedia, che crea un persuasivo gioco di equilibrio privo di movimento. La composizione geometrica di cerchio e quadrato è un riferimento al progetto Solo House di OFFICE, in cui un perimetro circolare circoscrive una corte quadrata interna: il nome della sedia deriva da questo progetto, che sarà presto realizzato dai due belgi nei dintorni di Barcellona.
Anne Holtrop, dal canto suo, ha creato sei pezzi unici: una scrivania sospesa, uno specchio e quattro scaffali ispirati alla collezione di pietre accumulata dal filosofo e sociologo francese Roger Caillois. Nel suo libro La scrittura delle pietre (1970) Caillois analizza sezioni lucidate di minerali come l’agata, il diaspro e l’onice, di cui collega la bellezza e la complessità al gesto della creazione artistica. L’abbagliante collezione costituita da Mirror, Desk e Shelves nasce da sottili sezioni di pietra naturale, montate con precisione in composizioni tridimensionali: sottili tranci di materia terrestre sospesi senza peso nello spazio. Come disegni suprematisti fatti di materia geologica.
La dicotomia tra il montaggio di prodotti industriali di serie nel lavoro di OFFICE e il fascino degli objets-trouvés nelle pietre di Holtrop appare un’ovvia lettura di questa prima mostra di Maniera. Mentre i tavoli di OFFICE sono modulari, matematici, calcolati e precisi, i pezzi in pietra di Holtrop sono irregolari, biologici, bizzarri e onirici. Benché entrambi i progetti siano stati elaborati con un interesse specifico nella qualità materiali (ispirato dal fotografo olandese Bas Princen, caro amico e collaboratore di entrambi gli studi, che ha avuto il ruolo di curatore e ispiratore dei progetti), questi sembrano rappresentare due poli opposti dello spettro del design: uno in stretto rapporto con la riproduzione meccanica di serie, l’altro fondato sull’unicità degli elementi organici non manipolati.
Ma a un esame più attento i pezzi svelano storie differenti. I frammenti di pietra presentati da Anne Holtrop non sono veramente quel che sembrano. In realtà si tratta di lastre di MDF tagliate irregolarmente, accuratamente dipinte a mano dalla specialista di pitture marmorizzate di una società della tradizione belga che si chiama Institut Supérieur de Peinture Van der Kelen-Logelain (anno di fondazione: 1882). Sovrapponendo accuratamente strati e strati di pittura nel corso di alcune settimane Sylvie Van der Kelen ha usato l’antica tecnica del trompe-l’oeil per creare effetti di finto marmo. Rivestiti da vari strati di vernice protettiva questi pannelli di legno decorato sono diventati in qualche modo dei simulacri fantasmagorici delle sezioni pietrificate scelte da Holtrop. Quel che si presenta come il massimo della naturalità è in definitiva una costruzione artificiale profondamente oscura. Complessa non solo nel modo in cui queste lastre di finta pietra sono prodotte e montate, ma ancor più nel loro imbarazzante tentativo di diventare funzionali: nel modo in cui queste enigmatiche nature morte tentano disperatamente di farsi specchio, tavolo e scaffale.
Mentre i pezzi di Holtrop giocano con ambigua intelligenza a nascondino con i concetti di sincerità del progetto, di materialità e di rappresentazione, i tavoli progettati da OFFICE sfuggono a ogni verbosità. Le gambe, la struttura, il piano e i giunti del tavolo esistono solo per consentire all’oggetto di diventare un buon tavolo. Calcolati e ingegnerizzati con profilati standard reperibili sul mercato, i vari tavoli hanno ampiezza, profondità e altezza basate sulle rispettive qualità strutturali e sulle relative esigenze funzionali intrinseche. La soluzione delle gambe staccabili (per consentire la spedizione in confezioni piatte) è risolta con un intelligente giunto d’acciaio che unisce gli elementi verticali al piano orizzontale. Questo “gemello” – come i progettisti l’hanno battezzato ironicamente – si inserisce con precisione nella parte interna dei profilati di poliestere, d’alluminio e d’acciaio, creando un particolare elegante che dà carattere all’insieme.
È l’evidente immediatezza dei tavoli progettati da OFFICE che qui è tanto convincente: conferisce loro un’assoluta naturalità nell’ambiente (nello spazio fisico dell’appartamento come nel contesto dell’esercizio del disegno industriale). Fa venire in mente la definizione della cultura postmoderna di Fredric Jameson come quel che si ottiene quando il processo di modernizzazione è completo e la natura è scomparsa per sempre. Quando la cultura, come afferma Jameson, è diventata una vera e propria seconda natura [1].
La mostra di Maniera diventa perciò un provocatorio dialogo tra industria e artigianato, tra riproduzione e interpretazione, tra artificiale e naturale, tra serialità e pezzo unico: tra lo standard e la pietra. Gli sconcertanti pezzi di entrambi gli studi sono certamente d’alto livello e aspettiamo con impazienza la prossima mostra di Maniera.
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Note:
1. Fredric Jameson, Postmodernism, Or the Cultural Logic of Late Capitalism, Durham, NC, Duke University Press. 1991, p. IV (trad. it. di M. Manganelli, Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Roma, Fazi, 2007).