Un giorno a Milano, Lisa Ponti e Basquiat

Nel 1983, la storica redattrice e direttrice di Domus incontrava l’astro della street art newyorkese: identità, musica, arte in un dialogo serrato, al Parco Sempione.

L’Italia dei primi anni’80 è attraversata da un autentico viavai di artisti provenienti dalle scene newyorkesi post-pop, street art, afrofuturiste: Keith Haring collabora con Fiorucci e avrà una personale a Milano nel 1984, Rammelzee percorre la penisola tra 1983 e 1986, e a fine 1983 arriva a Milano, nella galleria di Salvatore e Caroline Ala, una mostra collettiva dove Tony Shafrazi porta, tra gli altri, Haring, Kenny Scharf, Ronnie Cutrone e Jean Michel Basquiat. Proprio Basquiat quell’anno ha da poco fatto il suo salto da stella nascente della scena dell’East Village – video guest dei Blondie e protagonista di film per Edo Bertoglio – ad artista di fama internazionale, simbolo di un’intera cultura. È lì che Lisa Licitra Ponti, un giorno di ottobre al Parco Sempione, lo incontra e scambia una serie fittissima di pensieri dal valore quasi aforismatico. Domus la pubblica poi nel gennaio 1984, sul numero 646.

Domus 646, gennaio 1984

Basquiat

 “Walking on sunshine”, L.L.P.: colloquio con Jean-Michel Basquiat
al Parco Sempione, Milano, 9 ottobre 1983.

A New York vai al parco, ti siedi sull’erba come qui?
Mai, quasi mai. Quante volte sei stato in Italia?
Nove volte, dieci volte. Quando pensi alla pittura italiana, pensi a...
Leonardo. Fra gli italiani moderni, chi ami?
Cucchi e Clemente. Fra gli americani?
Franz Kline, Norman Rockwell, Henry Ford, Wendel Wilkie. Che libri leggi?
La Bibbia. Qualche volta. Il vecchio testamento o tutti e due?
Tutti e due. Musica?
Miles Davis. Architettura?
Ne so poco. La guardi?
La guardo e basta. Tu non sei mai solo, sei quasi sempre con gente.
Cerco di esser più solo, ora. Fai musica?
Produco dischi. Un disco rap. Ora sto lavorando a un disco di tamburi africani. Non è ancora finito. Fai dei lavori in collaborazione con altri?
Ne sto facendo uno. Ma è un segreto. Ti piace questa vita nomade? Due continenti, tante città...
Molto. Hai nostalgia di qualcosa?
Di tutto... ma solo gli oggetti non le persone. Gli oggetti. Ti piace esser chiamato The Black Picasso?
Non tanto. È lusinghiero ma è anche avvilente, penso. Ti senti fortunato?
Dotato. Cosa pensi dei critici che dicono che l’arte è morta?
Già quando c’era il Dada, quando c’era Picasso... sono gli stessi. Sono gente che è fuori dall'arte non è dentro l’arte. Capisci? Troppe cene, troppo vino scadente, bevono, si incattiviscono... Con chi ti piace discutere d’arte?
Non mi piace discutere d’arte.

Domus 646, gennaio 1984