Batman torna sul grande schermo, e per l’occasione il regista Matt Reeves realizza un film talmente simbolico onnicomprensivo nel rappresentare il mito del personaggio DC Comics da sembrare un manifesto di architettura, design ed estetica gotica. In tre ore di pellicola, il regista fonde tutto quel che si è visto negli ultimi quarant’anni di vita cinematografica del personaggio, aggiungendo al mix il suo tocco personale, che rende The Batman un’opera piuttosto unica nel panorama dei cinecomics.
Oscura e maniacale: l’architettura di Gotham come protagonista di The Batman
Il reboot di Matt Reeves mette al centro della narrazione una città sull’orlo del baratro e perennemente al buio, ossessivamente gotica e dove i luoghi dell’azione diventano subito delle icone.
Courtesy Warner Bros. Pictures/™ & © DC Comics
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Foto film frame
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- Mirko Tommasino
- 08 marzo 2022
Il Cavaliere Oscuro è Notte, Vendetta, un’idea in grado di incutere paura al solo sospetto della sua presenza. Parimenti, la Gotham che lo accoglie tra le sue putrescenti braccia è rappresentativa di uno status ben chiaro: buia, corrotta e in rovina, una delle città più convincenti e vive ritratte nel cinema contemporaneo. La città appare fin da subito come qualcosa che trascende il semplice fondale animato in cui agiscono protagonisti e antagonisti. Infatti, come insegnano le basi del genere procedural, in questo film è l’indagine il fulcro del racconto, e visto che essa si svolge in diversi luoghi caratteristici della città, coinvolge molti dei suoi figli più illustri e luoghi simbolo, a partire dal rampollo Wayne e la sua casa-torre.
Immagine in apertura: The Batman, Matt Reeves, 2022. Foto film frame
Procediamo con ordine, partendo dall’aspetto più impressionante in termini di percezione degli spazi: la caratterizzazione delle location in termini spaziali e architettonici. Grazie a un enorme studio dei dettagli, ogni ambiente diventa una sorta di icona cinematografica, in grado di raccontare il proprio scopo in modo esplicito dalla prima all’ultima inquadratura. Casa Wayne e la Bat-caverna, per esempio, sono due facce della stessa medaglia, perché esprimono molto bene la dicotomia interiore che vive un personaggio profondo come Bruce. Da un lato c’è l’ornamento, il mobilio imponente e l’opulenza della magione di famiglia, dall’altro l’oscurità, i pipistrelli (sì, ci sono anche loro) e l’essenzialità del suo antro da supereroe, il cui ingresso è ricavato da un percorso sotterraneo in rovina – appartenente un tunnel di servizio della metropolitana – che si affaccia poi nelle antiche fondamenta della tenuta di famiglia. L’orfano che ha sulle sue spalle il suo retaggio, e il vigilante apostolo della vendetta che infuria per le strade ogni notte.
Le strade di Chicago, dove è stato girato in parte il film, sono un riflesso oscuro di quel genere street “sporco e cattivo” tanto in voga negli anni ottanta, dove i ponti e le ferrovie urbane di ferro e pietra sono intaccati da sporcizia e agenti atmosferici, specchio di un degrado morale ed emotivo vissuto dalla città stessa. Ed è proprio da questo buio inquietante, da questi vicoli minacciosi e da queste infrastrutture dismesse, che spunta la mitologica figura dell’eroe mezzo animale e mezzo uomo, come una moderna divinità in terra.
La Gotham di Reeves è una città sull’orlo del baratro, in cui ogni individuo continua a badare unicamente al quadrato che circonda i suoi passi per non cedere all’orrore, arredando quel piccolo spazio a immagine e somiglianza di se stesso. Dal colpo d’occhio generale al più minimo dettaglio, la cura dell’ambientazione è davvero maniacale, in particolare grazie agli gli oggetti legati allo status di ogni individuo e il forte contrasto tra sale e figure che le occupano. Per questo, in una città che va in malora, gli abitanti si rifugiano in nuove cattedrali: da un lato il club del Pinguino, dove la musica assordante stordisce l’avventore e lo inebria con le sue luci tartassanti, in un’ambiente più simile a un parapetto carcerario con luci a intermittenza e musica da rave che a una classica discoteca.
Dall’altro, la chiesa per antonomasia, unico luogo in cui è ammessa pienamente la luce naturale, seppur filtrata da un cielo plumbeo, che rivela le pochissime linee e figure in pietra bianca visibili nel corso dell’interno film. Infine, i luoghi del male: il manicomio di Arkham, con la sua luce verticale e marcia che illumina lo stretto indispensabile: un tavolo per un’interrogatorio e una porta che separa i sani dai folli; e la stanza dell’Enigmista, diametralmente opposta per la disposizione e scelta ossessiva degli elementi contenuti in essa, in contrasto (tra le altre cose) con l’appartamento dove il colpevole compie il suo primo omicidio.
La quasi totalità della pellicola è ambientata di notte o in luoghi comunque scarsamente illuminati. La luce artificiale, quindi, assume un ruolo duale: per il cittadino comune rappresenta delle zone di salvezza immerse nel buio, mentre per il Crociato Incappucciato rappresenta il richiamo atavico e profondo del supereroe al suo dovere. Da quando Jim Gordon invoca Batman proiettando nel cielo plumbeo di Gotham l’iconico segnale, l’azione si sviluppa quasi interamente nell’oscurità, più consona alla vista dei pipistrelli che a quella dei criminali. Eppure, ogni sequenza è chiara e leggibile per lo spettatore, dai dialoghi più calmi alle scene più concitate (in particolare, una scena dell’inseguimento con la Batmobile).
Apparentemente, ci sono pochissime luci principali a dipingere degli spazi immersi nel buio, e per questo motivo esse hanno un’importanza narrativa davvero notevole. In particolare, resta particolarmente riuscito il primo ingresso in scena di Batman, accompagnato da un’incalzante colonna sonora che alza la tensione e fa percepire la paura in cui si aspetta di vederlo spuntare dietro ogni angolo. Ed è proprio dal buio che sbuca prima il rumore della sua tuta, poi i suoi passi e solo infine la sua figura illuminata dalla luce statica: un climax che ricorda molto l’ingresso in scena di Darth Vader in Rogue One: A Star Wars Story - la migliore rappresentazione del più grande villain di sempre - questa volta utilizzata per l’arrivo di un eroe.
Dopo ogni notte, la luce dell’alba segna il passaggio tra l’uomo vendicativo e la maschera di sopravvivenza, con il signor Wayne che torna da Alfred dopo l’ennesima nottata di lotte e dolore. Infine, la tanto agognata luce diurna si manifesta solo di rado, come una lontana chimera, che racconta illusori momenti di raccolta e speranza, mutevole e breve come un battito di ciglia.
Come insegna la teoria della percezione, in assenza di luce anche i colori appaiono meno saturi, e l’occhio umano favorisce la percezione delle forme a quella delle sfumature cromatiche. D’altronde, al buio è più importante l’arrivo di un pericolo, piuttosto che le sue caratteristiche secondarie.
Parlando in termini generici, l’intero film ha una palette con una patina grigia ( forse smog, o nebbia), quasi “marcia”. Tutto appare opacizzato dal dolore e dalla disperazione, bagnati dalle luci gialle dei lampioni notturni e da quelle più acide dei neon. In questo impianto visivo ben definito, fanno particolarmente effetto i picchi di colore molto saturi: il fuoco delle esplosioni, le luci nei club e il “rosso Batman” (che caratterizza anche i materiali promozionali del film), solo per fare degli esempi fuori contesto, evitando spoiler. Su questa palette ben definita, infine, ha una presenza scenica particolarmente importante il nero, caratteristico tanto del Pipistrello quanto della Gatta, che li rende paradossalmente ancora più riconoscibili in quel contesto visivo così poco saturo, seppur molto cupo e buio.
Il suono che sbuca dal silenzio può far più paura della figura che appare repentinamente, se ben contestualizzato e ben curato. Quando Batman entra in scena, sono i suoi passi pesanti e “metallici” a monopolizzare lo spazio in cui si muove.
Sono loro a incutere timore nei teppisti che stanno per affrontarlo. È il suono delle ossa che si spezzano e il rumore degli spari alla cieca ciò che fa maggiormente intuire la potenza di un combattimento quando la luce è intermittente, al posto delle coreografie riprese per intero. La voce dell’Enigmista rimbomba nei luoghi dove viene percepita, distorta e inevitabile, come fosse direttamente nella testa di chi l’ascolta. La musica nel club, in contrasto con la figura di Batman, racconta un contesto straniante e assurdo tanto per gli occhi quanto per le orecchie.
E infine, la caratterizzazione sonora – oltre che visiva – dei veicoli: il rombo delle moto, tanto quanto il verso profondo (perché questo viene percepito) della Batmobile, più una novella macchina assassina che un veicolo vero e proprio. Anche a occhi chiusi, il design di questi companion dei due protagonisti non rappresentano unicamente degli strumenti per spostarsi da un punto all’altro della città, ma incarnano le loro personalità così lontane, eppure così affini.
Come accennato in apertura, questo lavoro sintetizza una grammatica visiva sicuramente già vista e ben assimilata nel corso dei decenni passati, pur mantenendo una personalità forte. È impossibile non cogliere, soprattutto in apertura e nel corso del primo atto, un sapore simile a quello della città in subbuglio di Batman v Superman rappresentata da Snyder, e una palese citazione al suo Watchmen, con gli scontri in città che imperversano e sembrano dettare legge al posto dell’ordine costituito. Inoltre, tutta la componente gotica e decadente della pellicola sembra portare nel Ventunesimo secolo i capricci architettonici realizzati da Burton trent’anni prima nel suo Batman, con toni e inquadrature sicuramente meno posticce e più realistiche, ma comunque affascinanti nella loro unicità. Proseguendo, troviamo il chiaro riferimento (anche in termini di espedienti narrativi, oltre che nei toni visivi) più palese: Nolan e la sua città in mano ai delinquenti, con gli antagonisti di Reeves che non hanno nulla da invidiare ai villain visti nella trilogia del Cavaliere Oscuro.
Infine, ultimo in termini cronologici ma non certo sotto il profilo qualitativo, la componente street-level del Joker di Phillips che torna ancora una volta prepotentemente attuale nel parlare al quotidiano delle persone attraverso elementi visivi consueti, con la gestione dei dialoghi immersi negli spazi sempre angusti e scomodi che rendono ogni personaggio sempre profondamente umano, in cerca di salvezza.