Nel Novecento il design si occupava fondamentalmente della produzione di oggetti attraverso il processo industriale. Il designer era prima di tutto un professionista, capace di dare risposte progettuali che tenessero conto delle esigenze aziendali. Nel nuovo secolo la società si trova a gestire una realtà completamente cambiata: le grandi ideologie hanno esaurito la loro carica utopica e l’idea di un progresso lineare è ormai svanita. L’Occidente si trova a gestire la crisi industriale più lunga e complessa della storia, tanto da sembrare più una crisi di sistema che una recessione economica. Tutto questo ha portato diversi designer a riflettere sul loro ruolo, rimettendo in discussione le basi progettuali del Novecento.
Per Formafantasma “la sostenibilità è un’utopia”
L’ultima mostra dei Formafantasma alle Serpentine Galleries di Londra, ora chiusa per via del lockdown, ripensa la nostra relazione con gli alberi. Realizzata in collaborazione con scienziati, filosofi e climatologi, propone un nuovo modo di fare design. L’intervista.
Video C41.
Video C41.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto George Darrell.
Foto George Darrell.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
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Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto George Darrell.
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Foto Gregorio Gonella.
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- Tommaso Bovo
- 02 aprile 2020
Il lavoro dello Studio Formafantasma si inserisce in questo dibattito e affronta la questione con una mostra alle Serpentine Galleries di Londra, al momento inacessibile per via del lockdown generale. L’argomento scelto è il legno, quindi gli alberi, intesi come elementi vivi che diventano materie prime dopo la loro morte. Il titolo dell’esposizione, “Cambio”, è il nome dello strato che si trova tra la corteccia e il legno degli alberi, fondamentale per far vivere e crescere la pianta. Evidente è anche il doppio significato della parola, che esige un cambiamento su come ci rapportiamo con la natura e sul modo di intendere ed interpretare il ruolo del progetto oggi. Questa richiesta di cambiamento sembra essere ancora più attuale nel momento in cui scrivo questa intervista, realizzata via Skype a causa dell’emergenza Coronavirus.
“Cambio” è una mostra di design senza nessun pezzo progettato da voi.
Esatto, all’esposizione non ci sono nostri oggetti. Non volevamo mostrare dei prodotti, ma un modo di pensare e di lavorare.
Perché una mostra sul legno?
Perché gli alberi, oltre ad essere una fonte di materiale, sono anche e soprattutto delle specie viventi. Questo ci da l’opportunità di affrontare il tema del rapporto con la produzione e, allo stesso tempo, fare un’analisi su come estraiamo materiale dal nostro pianeta. Ci permette poi di affrontare il tema dell’intelligenza, non umana, bensì delle piante.
Nel vostro modo di lavorare date sempre molta importanza al processo. In questo caso vi siete mossi?
Quando si progetta, il problema della sostenibilità non riguarda soltanto del prodotto finito, ma le scelte che portano a quel prodotto. Per noi era importante proporre dei contenuti, il modo con cui la realizziamo deve quindi essere coerente con quei contenuti. Non volevamo avere un approccio autoriale, stilistico, ma puntare sul processo. Lo spazio della Serpentine è stato trasformato il meno possibile, mentre per l’allestimento abbiamo recuperato il legno della Val di Fiemme.
Sono più di cento le persone intervistate per questo progetto e praticamente tutte le conversazioni sono state realizzate via Skype, evitando il più possibile di viaggiare. Di solito quando si organizza una mostra i trasporti sono separati, arrivano diversi camion o container da svariate parti: abbiamo organizzato un tipo di trasporto che fosse cumulativo, in modo da avere meno viaggi possibili. Questo ha significato un importante progetto di logistica, ma ha ridotto il consumo di benzina e ha portato a un sensibile risparmio economico. Volevamo che questa fosse l’opportunità di ripensare anche il tema delle esposizioni: immaginiamo ad esempio le Fashion Week o i vari Saloni del Mobile, e a quanto possiamo incidere sull’impatto ambientale utilizzando una diversa progettualità.
Quindi siete stati nella Val di Fiemme, una zona colpita nel 2018 dove il vento ha abbattuto più di quattordici milioni di alberi: una tragedia epocale. Quali sensazioni avete avuto?
Quando siamo arrivati lì, davanti a quei boschi rasi al suolo, è stata forse la prima volta che abbiamo avuto una reazione fisica così violenta di fronte a un paesaggio. Immersi in quel contesto ci siamo resi conto di cosa voglia dire vivere sul pianeta Terra in questo momento. Non puoi non riconoscere quello che hai davanti, è stata una delle esperienze che più ci hanno toccato.
Vi siete affidati a scienziati ed esperti per riflettere su questi fenomeni e raccontarli.
Tutta la mostra è una collaborazione. Forse abbiamo lavorato più come curatori che come designer, abbiamo mostrato il lavoro degli altri in dialogo con il nostro. Ci hanno aiutato moltissime persone tra le quali Marco Carrer (climatologo dell’Università di Padova), Sissel Tolaas (Ricercatore e artista degli odori) e Philipp H. Pattberg (della Vrije Universiteit di Amsterdam). Ma anche istituzioni come la Royal Botanic Gardens Kew di Londra o il Naturalis Biodiversity Centre di Leiden, solo per citarne alcuni. La collaborazione con il filosofo Emanuele Coccia è stata per noi molto significativa e illuminante. Il suo apporto si è concretizzato con un monologo: è la voce di un albero, una quercia, che parla di noi esseri umani. Lo abbiamo inserito alla fine della mostra, a concludere il percorso.
E i laboratori scientifici, come li avete coinvolti?
In vari modi. Ad esempio abbiamo fatto analizzare una serie di oggetti in legno di uso quotidiano. Si è così scoperto che diversi di questi erano stati costruiti con legni in via di estinzione: persino la carbonella per il barbeque conteneva legni rari e protetti.
L’attuale società postmoderna nasce con la fine delle grandi ideologie del Novecento, una fine che, nel bene o nel male, ci ha fatto perdere anche la dimensione dell’utopia e del sogno. Sembra che la sostenibilità, l’ecologia, sia una delle poche utopie veramente contemporanee. Non credete che anche questo pensiero, come molti altri, rischia di essere un’utopia tipicamente postmoderna, quindi un’utopia fragile, debole, che rischia di avere una vita breve nel tempo?
La sostenibilità è un’utopia forte perché è fuori dalla modernità, lontana dalla cultura novecentesca e pienamente inserita nel nuovo modo di intendere il nostro rapporto con la natura. Il pensiero moderno si è sviluppato partendo da un’idea antropocentrica, l’uomo era visto come al centro dell’universo, il dominatore, lui dava forma al pianeta in base ai suoi bisogni e ai suoi desideri. Nella civiltà contemporanea si sta consolidando l’idea che l’uomo può continuare a vivere solo se collabora con gli altri esseri viventi. Noi come designer, ma soprattutto come esseri umani, dobbiamo prenderci cura non solo di noi stessi, ma anche di tutte le altre specie del pianeta. Questo vuol dire riprogettare il modo in cui viviamo quotidianamente. Il pensiero ecologico sarà quello che darà forma alla politica del futuro, sarà una grande utopia che ci spingerà a migliorare radicalmente.
- Cambio
- Rebecca Lewin
- 4 Marzo – 17 maggio 2020
- Serpentine Galleries, Londra
- Kensington Gardens, Hyde Park, Regno Unito
Galleria sud. Val di Fiemme, lavorazione del legno, video still.
Galleria sud. Val di Fiemme, lavorazione del legno, video still.
Galleria est.
Galleria est.
Galleria est.
Sala sud.
Seeing the Wood for the Trees, Formafantasma.
Sala nord. Seeing the Wood for the Trees, Formafantasma.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria nord.
Galleria ovest.
Galleria ovest.
Galleria ovest.
Visual Essay, Formafantasma.
Visual Essay, Formafantasma.
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