Carlotta Cardana torna nella sua Verbania per presentare una nuova incarnazione di “The Red Road Project”, la serie fotografica sui Nativi Americani di cui si è già molto scritto e detto ma che, mostra dopo mostra, si arricchisce ogni volta di nuove letture. Ospitata fino al 23 settembre a Villa Giulia, sede estiva del Museo del Paesaggio, l’ampia e in parte inedita selezione di stampe è distribuita tematicamente all’interno di ariose e bellissime sale affacciate sul lago Maggiore, e incorpora stavolta anche materiale d’archivio proveniente dalla Library of Congress. Il progetto, nato ufficialmente sei anni fa, è infatti il risultato ancora in divenire di un discorso iniziato molto tempo prima, quando, durante un anno di studi in un liceo del Nebraska, Cardana ha conosciuto Danielle Seewalker, Sioux della tribù di Standing Rock. «Danielle si era trasferita dal North Dakota, il che faceva di noi due straniere. È in questo modo che abbiamo legato», ci dice Cardana. «Ed era così normale pensare che i Nativi si frequentassero solo tra loro, che a volte mi hanno chiesto a che tribù appartenessi». Dal desiderio di unire le forze in una ricerca comune matura quindi nel tempo l’idea di raccontare la vita degli Indiani Americani oggi, in modo non stereotipato, e focalizzandosi sul confronto con la cultura di una nazione, gli Stati Uniti, vissuta al contempo come violenta occupante e punto di riferimento ormai inevitabile. Se Evereta con la sua Ford Mustang e Sheena sul suo letto coperto di seta sono da sempre le testimonials perfette della dicotomia al cuore del lavoro, quest’annoso incontro/scontro si declina anche in una galassia di altre piccole e grandi storie: dai pescatori della Louisiana che rifiutano di essere evacuati nonostante i rischi idrogeologici del loro villaggio (causati dallo sfruttamento petrolifero dei mari da parte delle multinazionali), agli abitanti della California del Nord in lotta contro una diga che sommergerebbe i loro luoghi sacri (trovando un inaspettato gemellaggio con gli aborigeni della Nuova Zelanda), dai ragazzi che partecipano a un importante pow–wow mescolando abiti tradizionali allo stile hip–hop, agli omosessuali che si battono per i diritti LGBTQ e che, in quanto appartenenti ai due generi, sono definiti “due–spiriti”. Lo stile narrativo che permea queste storie è anche il segno di un lento ma organico cambiamento di ritmo per Cardana. «Sono sempre stata percepita come una ritrattista che, in questo lavoro, ha realizzato anche paesaggi» conferma; ma questo allestimento dimostra che il suo interesse si sta via via spostando verso quel luogo che, unendo documentazione e interpretazione, riempie proprio la distanza tra ritratto e paesaggio. Alle foto in pellicola a colori realizzate da Cardana si aggiungono ora quelle della Library of Congress, in bianco e nero o virate, raccolte e selezionate da Seewalker, che è anche autrice di tutti testi che arricchiscono e completano il lavoro e che ha ormai aggiunto ufficialmente la sua firma al progetto. Sono, anche queste, immagini bellissime che scardinano i preconcetti sui Nativi, col pregio di spostare di molti decenni indietro nel tempo la linea di fraintendimento oltre la quale non si può fingere di non essere informati. Un passo in più su quella che gli Indiani Americani chiamano proprio Red Road, la strada verso un cambiamento positivo che prende avvio da una presa di coscienza che coinvolgerà anche altri popoli. «Il nostro lavoro può assolutamente essere definito attivismo», sottolinea del resto Cardana, che nell’ultima sala ha deciso di riunire un video di interviste sul tema del rapporto con la madre terra, e una proiezione in loop di foto di paesaggio montate in una ipnotica dissolvenza incrociata continua appositamente musicata con una colonna sonora al ralenti. «In un paese socialmente e politicamente compromesso come il nostro l’idea è che, una volta fuori dalla mostra e di nuovo sul lago, i visitatori intuiscano che i temi trattati in questo lavoro riguardano non solo i Nativi Americani ma tutti noi».
Lavoro in corso sulla strada rossa
Carlotta Cardana ci guida attraverso una versione aggiornata di The Red Road Project, il suo lavoro ongoing ora nuovamente in mostra in Italia.
View Article details
- Raffaele Vertaldi
- 13 luglio 2019
- The Red Road Project mostra fotografica di Carlotta Cardana e Danielle SeeWalker
- Dal 9 giugno al 29 settembre, 2019
- Villa Giulia (Museo del Paesaggio di Verbania)
- Corso Zanitello, Verbania (VCO)
Fort Yates, un tempo postazione dell'esercito statunitense, è ora il quartier generale della tribù dei Sioux di Standing Rock. La strada principale di Fort Yates prende il nome da Toro Seduto, capo stimato e leader spirituale della comunità Hunkpapa della nazione Lakota Sioux.
Julian è un genitore unico che lavora al casinò della riserva di Standing Rock. Poco dopo la nascita di suo figlio Elijah, la madre li ha abbandonati entrambi. I capelli lunghi per i Nativi Americani sono tradizionalmente legati alla Madre Terra e alla natura, quindi hanno un valore simbolico molto importante. Julian non ha mai tagliato i capelli a suo figlio e dice che Elijah non potrà farlo fino a quando non avrà compiuto 13 anni.
Nativi Americani durante una lezione di matematica nel collegio di Carlisle in Pennsylvania. Immagine d’archivio, 1901.
“Scena di strada” immagine d’archivio di due ragazzi Nativi fotografati nel 1977.
Fast Eddie (a sinistra), un ballerino di pow-wow, fotografato con Two Braids, una celebrità dei social media. È un'eccellente rappresentazione visiva di come i giovani nativi americani debbano camminare in "due mondi", mantenendo intatti i loro costumi tradizionali e allo stesso tempo integrandosi nella cultura giovanile dell'America del 21° secolo.
Immagine d’archivio del 1936 che ritrae due Mescalero Apache nella loro riserva.
Nick ed Elijah risalgono il fiume Sacramento in una canoa fatta a mano. Hanno percorso 30 km in canoa, come parte di un viaggio di due settimane lungo 600 km con la tribù Winnemem Wintu.
Questo bastone cerimoniale racconta la storia del suo proprietario, Hanson Chee. Ogni piuma simboleggia un anno passato nell’esercito, periodo che comprende anche la guerra del Golfo. Le perline colorate sono un tributo per rendere onore al padre e ai nonni, che erano anche loro veterani di guerra. L’artiglio d’aquila gli fu donato dal suocero, che ha catturato l’animale durante una battuta di caccia cerimoniale.
Immagine d’archivio di un uomo che fuma una sigaretta
Sarah è Shoshone e Arapaho della riserva di Wind River in Wyoming. Da anni vive a Denver e fa parte della comunità dei “Nativi urbani”. Prima di essere trasferita verso nord, la sua tribù viveva nella zona occupata ora dalla città. Sarah promuove l’importanza della salute e dell’attività fisica per i Nativi, tra cui l’obesità e il diabete sono altamente diffusi. Organizza anche programmi dedicati ai giovani per famigliarizzarli con la natura e le montagne.
Danielle Ta'Sheena Finn (Sheena), 23 anni, fa parte della comunità Hunkpapa Lakota della Grande Nazione Sioux. Sheena si è aggiudicata il secondo posto nel concorso Miss Indian World 2013, ma ha poi ha vinto il titolo nel 2016. Partecipa a questi concorsi per rappresentare se stessa e le giovani donne della sua tribù e tiene discorsi in pubblico sulla conservazione del linguaggio e la prevenzione del suicidio tra i nativi americani. Sheena ha studiato legge tribale e aspira a diventare un avvocato tribale. Qui è ritratta nella sua camera da letto nel ranch di famiglia, indossando abiti e accessori che ha creato con sua madre. Il colore verde del suo abito rappresenta la "celebrazione" nella cultura Hunkpapa Sioux.
Evereta Thinn, 30 anni, nella Monument Valley con la sua Ford Mustang. L'auto le fu regalata dal fratello, scomparso poco dopo, e divenne l'oggetto con maggior valore sentimentale per lei e un modo per onorare il fratello. Questa donna Diné (Navajo) lavora nel campo dell'istruzione, con la speranza di aprire un giorno una scuola di immersione culturale e linguistica per il suo popolo.