Due mani che si stringono, un messaggio di speranza per il futuro in un mondo minacciato da tante crisi, quella climatica prima di tutte. Mani gigantesche, destinate a dissolversi dopo pochi giorni, portate via dagli agenti atmosferici. È questo il cuore del progetto “Beyond Walls” di Saype, che finora ha toccato 12 città in tutto il mondo e arriva alla Biennale di Venezia, promosso da Lavazza e parte del Padiglione Venezia.
Una gigantesca catena umana d’arte che si snoda dal Campo di Marte a Parigi alle montagne di Andorra, dalla spiaggia di Ouidah alle baracche di Cape Town e presto arriverà a Belfast e Rio, in Brasile. Conservata solo nelle foto, si reinventa atterrando a Venezia, dove trova spazio in una struttura galleggiante ricoperta d’erba, che sarà poi trapiantata in un parco della città.
Quando ha iniziato questo progetto, l’obiettivo era portarlo in 30 città, racconta a Domus l’artista. “Ora non mi sembrano abbastanza”, commenta durante una chiacchierata dopo la presentazione alla Biennale. Questo perché il concetto-base di “Beyond Walls” è di trovare insieme soluzioni ai problemi. Ma il mondo post-pandemico è più diviso di quello che Saype, classe 1989, conosceva. Anche in Svizzera, un paese che solitamente è estremamente pacifico, spiega, i conflitti in merito all’obbligo vaccinale si sono sentiti. E poi ovviamente ci sono le tensioni internazionali, la guerra in Ucraina. “Sono spaventato”, ammette. Ma lo è in un modo suo, ottimistico, di chi crede – appunto – che si possa ancora cercare l’unione, anzi che soprattutto si debba farlo ora, e cita il pensatore portoghese Miguel Torga, “l’universale è il locale meno i muri”.
A proposito di locale, il discorso scivola ovviamente su questa prima volta a Venezia. È una città fragile, sottolinea l’artista, particolarmente simbolica per chi, come lui, individua nella crisi climatica una delle grandi sfide che l’umanità deve fronteggiare – insieme, ovviamente. Sulle mani dipinte si trovano dei dettagli che richiamano esplicitamente il tema del clima, un tatuaggio che sembra un’icona del meteo, un anello con il sole. Tra pochi giorni, la pittura scomparirà, l’erba sarà riciclata e resteranno solo le foto. Una soprattutto, quella potentissima delle due mani su campo verde, in una barca ricoperta d’erba, in mezzo al Canal Grande.
A Torino, nel 2020, Saype ci aveva raccontato la sua idea di arte, che a suo parere “è interessante quando non è per l’elite”, quando ha qualcosa da comunicare a tutti. Un messaggio per il cambiamento. Di questa Biennale pensa che ci siano delle cose interessanti, che l’hanno colpito, ma tante troppo concettuali, che non gli sono arrivate. “In questo caso preferisco leggere un libro, ma è un giudizio soggettivo”, dice. E poi cita William Turner, il grande pittore britannico che per lui è un esempio di quell’arte che arriva direttamente al cuore.
Durante la chiacchierata, c’è anche l’occasione per parlare del suo metodo di lavoro: tutte le mani che Saype dipinge arrivano da fotografie che ha scattato in giro per il mondo, archiviate in modo anonimo, senza volti e senza nomi. “Così può succedere che io dipinga la mano di Federer insieme a quella di un senzatetto, e nessuno lo saprà: eppure in quelle mani, come in tutte le mani, c’è la storia delle persone a cui appartengono”.
Accompagna l’installazione una mostra con sviluppo verticale, ospitata nella Torre di Porta Nuova dell’Arsenale, che racconta le precedenti tappe del progetto e si conclude con un affaccio su questa nuova, tredicesima opera, realizzata su una superficie di 300 metri quadri. “L’arte di Saype, che incarna perfettamente i nostri valori, è il testimone ideale della relazione sempre più stretta tra arti visive e sostenibilità”, ha spiegato Francesca Lavazza, Board Member Lavazza Group. Qui in Biennale, l’azienda è partner del Padiglione Venezia, oltre alla collaborazione con una fondamentale istituzione dell’arte in laguna come la Peggy Guggenheim Collection.
Immagine in apertura: “Beyond Walls”, Saype, Venezia. Foto © Valentin Flauraud