Provengono da importanti collezioni private e musei di tutto il mondo le opere di Francis Bacon (Dublino, 1909-Madrid, 1992) e Alberto Giacometti (Stampa, 1901-Coira, 1966) radunate alla Fondazione Beyeler per questa mostra-confronto che i tre curatori Catherine Grenier, Michael Peppiatt e Ulf Küster hanno organizzato partendo da un’attenta ricostruzione dei rapporti biografici tra i due maestri e i temi formali che intercorrono tra le loro opere in mostra, impressionanti per numero e qualità.
Ernst Beyeler, il grande collezionista svizzero fondatore del museo ebbe un rapporto diretto con entrambi gli autori, e molte opere di Bacon e Giacometti rappresentano notoriamente passaggi importanti di quel prezioso libro di storia dell’arte che è la fondazione Basilese. Non sorprende quindi di ritrovare in mostra opere fondamentali lì custodite, come il celeberrimo Homme qui marche II (1960) di Giacometti e la Lying Figure (1969) che proprio Bacon in una lettera indirizzata a Beyeler riconosceva come una delle sue opere più importanti.
È del 1965 la bella foto in bianco e nero che immortala i due artisti in un dialogo intenso sullo sfondo della personale di Giacometti alla Tate Gallery di Londra che da lì a poco avrebbe inaugurato. È da questa immagine emblematica che i curatori hanno strutturato un percorso espositivo che sottolinea analogie e omologie formali, ma anche posizioni antitetiche eppure ugualmente intense che vedono sempre al centro un unico tema, ossessivamente perseguito: quello della figura umana.
La narrazione prosegue con la figura che li fece incontrare: la comune amica e artista Isabel Rawsthorne che nei primi anni sessanta introdusse i due artisti, personalità estremamente importante nel corso delle rispettive carriere, come testimoniato dalle molte opere in mostra che la ritraggono.
Nelle nove sezioni tematiche che compongono l’allestimento si svelano quindi i tratti che accomunano le loro visioni, a partire dalla loro capacità di ordinare ciascun elemento nello spazio. In tal senso sono veri e proprio dispositivi visivi quelli adoperati dai due, a partire da Giacometti che pensò una serie di intelaiature, tra cui La Cage del 1950 (qui esposta nelle due versioni in gesso e bronzo) la cui invenzione risale probabilmente a quel congegno spaziale e artistico rappresentato dalla leggendaria Boule suspendue del 1930: opera ancora surrealista e inesauribile nella sua lettura simbolica. Anche Bacon comprese la necessità di dipingere le sue figure inserendole in strutture simile a “gabbie” che da un lato ne aumentano la resa tridimensionale e dall’altro amplificano il senso di frustrazione umana di quei corpi, stravolti al limite della riconoscibilità: ne è esempio una tela raramente esposta, Figure in Movement del 1972, nella quale il corpo deformato appare come imbrigliato nella griglia che ne frustra il dinamismo.
BPK 24.353
Il tema del dolore e di tutto ciò che esprime la carne prosegue nelle altre sale e rammenta al visitatore di quanto Bacon, grazie ad un intenso studio e confronto con la pittura sacra imparò ad esprimere i tormenti del corpo. Proprio dalla tradizione figurativa cristiana il pittore irlandese fece suo il formato del trittico, che nei molti esemplari in mostra esprime in maniera sublime con i loro interni popolati da inquietanti e mostruose figure che sembrano ammassi di carne ululante. Diverso, ma non meno incisivo il racconto del corpo in Giacometti che nella la sua opera plastica e pittorica, attraverso i busti-ritratto del fratello Diego, le filiformi figure femminili e alcuni frammenti anatomici evidenziano il rapporto dialettico tra la massa centrale e lo spazio che le avvolge e le corrode. I contorni continuamente frantumati suggeriscono e insieme vanificano le presenze umane che appaino tanto più leggibili quanto più osservate da lontano.
Come già accennato è dunque questo un aspetto centrale in tutte le opere esposte: il persistere della figurazione nell’opera di due giganti dell’arte rivendicarono strenuamente il loro essere “realisti”, lambendo con le loro rispettive carriere tutte quelle avanguardie che proprio dalla figura e dalla tradizione pittorica e scultorea volevano invece affrancarsi.
Tale distacco e lento addio non poteva manifestarsi senza dolore: in Bacon la resistenza del corpo s’esprime con aggressività: “Non c’è tensione in un quadro se non c’è lotta con l’oggetto”, scrisse il pittore nel 1955, mentre in Giacometti l’immagine dell’uomo sembra arrendersi e riflettere il senso di fallimento, di autoflagellazione che permea l’opera dell’artista svizzero e che il peculiare impiego del gesso, con il suo aspetto fragile e incompleto, incarnano alla perfezione.
La leggenda di entrambi gli artisti si è consolidata anche grazie all’attenzione che grandi intellettuali rivolsero al loro lavoro (Giacometti trovò in Sartre un grande sostenitore e Deleuze dedicò a Bacon l’importantissimo saggio del 1981 Logique de la sensation) e fa un certo effetto pensare che le genesi di tali riconosciuti capolavori, che nelle grandi sale della Beyeler esprimono tutto il loro valore spaziale, sia da ricondursi ad ambienti angusti e affastellati. In questo senso la video-installazione che completa la mostra alla Beyeler vuole suggerire al visitatore l’atmosfera dei rispettivi studi privati degli artisti: due microcosmi privati che rivivono qui grazie alle tecnologie digitali e che riflettono tutto il portato umano e struggimento artistico dei due.
- Titolo mostra:
- Bacon – Giacometti
- Curatori:
- Catherine Grenier, Michael Peppiatt e Ulf Küster
- Date di apertura:
- 29 aprile – 2 settembre 2018
- Sede:
- Fondation Beyeler, Basilea