“Ah, Giovanni De Francesco! Lui è ‘uno’ bravo.” Non conto le volte in cui l’ho sentito dire da persone diverse, tutte stimate e riconosciute, sulla scena dell’arte, design e della cultura milanese. Ci ripensavo l’altra sera, uscendo da “La ballade des pendus” (“La ballata degli appesi”), mostra collettiva di cui Giovanni è curatore e artista assieme. Pensavo a quell’“uno” come se d’improvviso mi si rivelasse la difficoltà nel definire un artista di cui stimo il pensiero e l’agire. Comprensibile: De Francesco è inventore e attivatore di spazi. È scenografo (si muove tra design, moda e teatro), figura articolata che non si lascia riassumere in fretta e non è facile da collocare. Forse per questo – e ancora di più – nella sua “Ballade” mi è sembrato di poter leggere un discorso efficace e differente su quella interdisciplinarità che tutti cantano allo sfinimento, ma che pochi riescono a vivere e a mettere in spazio e in carne e ossa.
La ballade des pendus
La storica discoteca milanese Plastic da tre anni ha aperto uno spazio dedicato alle arti contemporanee. Il PlasMA crea una situazione espositiva decisamente atipica, osserva orari rigorosamente notturni e non teme l'insistenza sonora del club adiacente. Giovanni De Francesco ha curato una mostra ad hoc che sottolinea il carattere sospeso di questo luogo, e non solo.
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- 11 ottobre 2017
- Milano
Giovanni De Francesco: Sconfino, sì. Come, o magari un po’ di più, di tanti altri. E forse proprio in ragione di quest’attitudine, Nicola Guiducci – leggendario dj della discoteca milanese Plastic – mi ha invitato a pensare una mostra per il Plasma (Plastic Modern Art), spazio espositivo adiacente allo storico locale. A Milano da 20 anni e più volte in pista al ritmo di Guiducci, ho accettato subito l’invito estendendolo ad altri artisti (e non solo): mi piaceva l’idea che a loro volta avrebbero accettato un po’ come si accetta un invito a ballare – se si ha voglia, se si ha tempo, se la compagnia ti piace. Il contesto e le modalità in apparenza leggere, erano d’altro canto sfidanti. L’immagine dell’appeso, la dodicesima carta degli arcani maggiori dei tarocchi, mi è sembrata ben rappresentare la natura di questo spazio ibrido e sospeso, che vive solo di notte e mette l’arte in mostra a condizioni insolite. Per sottolineare questo aspetto ho immaginato un allestimento in cui tutti i pezzi fossero sospesi a varie altezze grazie a un sistema di funi ancorate alle architravi rosse che attraversano l’interno di questo ex spazio industriale. Il dispositivo, per quanto simbolicamente violento, ha permesso di dare armonia a un insieme di opere molto eterogenee. Ventuno, un numero che capovolge il 12 della carta al centro dell’operazione. In alcuni casi ho scelto lavori la cui forma o contenuto aderivano evidentemente al tema e in altri casi l’artista ha proposto un’opera ad hoc. Il vaso di Andrea Branzi aggira la forma concava e la funzione di un vaso comune nel suo essere corpo chiuso, mentre la sua “impiccagione” gli dà sembianze brancusiane. Lo stesso per i pezzi dei due giovani designer Duccio Maria Gambi e Massimo Faion in cui la ricerca sulla materia capovolge l’idea di funzionalità che molti presumono essere al centro della loro disciplina. Un rimando alla notte e al carattere ribaltato della mostra è anche nella grande fotografia di Annalisa Sonzogni che racconta una sala della Pinacoteca di Brera durante le ore di chiusura. Altre opere parlano di sospensione con leggerezza, come la composizione aerea di David Casini o il quasi invisibile sasso di Stefano Serusi. Il lavoro di Paolo Gonzato suggerisce invece l’oscillare dei Pendus nello spargersi a terra di coriandoli da un ombrello a testa in giù, capovolto, ancora una volta.
Valentina Ciuffi: “Eppure le opere pendono al vento capriccioso della Storia, fatta di cambiamenti d’umore, di repentine mode, di corsi e ricorsi, e vivono una vita propria nell’oscillazione dei giudizi di cui, in fondo in fondo, ignorano perfino l’esistenza”. Queste parole del bel testo di Luca Scarlini, che hai usato a mo’ di comunicato stampa, mi hanno colpito molto. Ciò che è sospeso, oscillante, imprendibile, diventa scomodo anche perché è difficile da giudicare, incasellare, perché non permette di schierarsi in modo funzionale al sistema?
Giovanni De Francesco: Mi è sempre interessato immaginare la relazione tra un’opera e la sua vita, i suoi spostamenti, il suo modificarsi nel tempo e nello spazio. Mentre preparavo il progetto per la esposizione al Plasma mi è tornata in mente l’immagine di una statua all’interno del Louvre che per un suo spostamento veniva imbragata e sospesa. Ecco, quel momento di transito determinava un cambiamento radicale nella visione dell’opera e così vorrebbe essere nella mostra che ho curato. C’è un film documentario, La Ville Louvre, che racconta efficacemente questa storia: vanno in scena rituali dell’arte lontani dalla contemplazione, si mostra la routine dei retroscena museali, in cui le opere ancora non hanno collocazione, si muovono e prendono vita come attori ancora non riconoscibili. E il film inizia, guarda caso, durante una notte in cui le sale buie sono illuminate a mano con la luce impropria di una pila. E questo è il Louvre, ma cosa succede a un’opera quando da una galleria passa a una casa? Su quale mobile o sostegno verrà posta? Con quale suppellettile imprevisto si metterà a dialogare? Le variabili sono infinite. Le opere in mostra sono appese in “quel subito prima”, precarie, d’altro canto potenziali, protese. Le funi gli stanno attorno come quando, in un libro, tiri una linea sotto una parola; ti sovrapponi sì, trasformi, ma per mettere in risalto non per confondere.
Valentina Ciuffi: Però, l’appeso della dodicesima carta è anche un traditore giusto? Quale delle opere in mostra racconta meglio questo suo aspetto controverso?
Giovanni De Francesco: Forse più di tutte l’opera di Luca Trevisani che è stata innanzitutto parte di un suo video, intrecciata a dei serpenti vivi, poi è diventata opera a parete e qui, sospesa orizzontalmente, da un garbuglio di corde, proietta a terra la propria ombra. Proprio lui che di opere sospese ne ha fatte molte, qui ha portato una delle poche che così non era nata e ha finito per esserlo, sospesa. La scultura di Andrea Sala, che è solito disporre tutto attentamente nello spazio secondo precise proporzioni, è qui strappata alla parete, svela il suo retro, non finito, e penzola disassata. Ancora, è traditrice, l’installazione di Alessandro Gori che mixa la riproduzione di una sua immagine grafica elaborando un collage di materiali lontano dal suo abituale linguaggio. E, perché no, la mia scultura che gioca sull’ambiguità dei materiali, che ne tradisce l’apparenza attraverso finiture e colori, e anche nel titolo Puer Aeternus (un archetipo junghiano), rimanda alla figura, puerile, dell’artista tradito dalla sua stessa passione. Scriveva, del resto, Pasolini: “Adulto? Mai – mai, come l’esistenza che non matura – resta sempre acerba, di splendido giorno in splendido giorno”.
Valentina Ciuffi: Parole belle, decisamente. Ne approfitto per chiederti ultima cosa. Da giornalista leggo un sacco di comunicati stampa inutili, ignobili. Perché così poco spesso viene in mente di utilizzarli, essi stessi come contenuto artistico, opera di scrittura? Tu lo hai fatto...
Giovanni De Francesco: Avessi l’audacia, chiederei a un poeta di poter usare un suo scritto a commento di una mia opera. Non sono arrivato a tanto. Spesso, però, ho chiesto di dare il titolo a un mio lavoro a chi poteva farlo meglio di me. Così una delle 21 opere appese è il testo di Luca Scarlini. Dopo una chiacchierata, ha infatti accettato la mia sfida di stendere un breve racconto sulla mostra senza nemmeno conoscerne le opere. Ero certo che, messo a parte del tema, potesse anticiparle nella sua immaginazione, fervida, fin dal titolo perfetto che ha trovato per loro: “La ballade des pendus”.
- 24 settembre – 15 ottobre 2017
- La ballade des pendus
- Giovanni De Francesco
- Antonio Barletta, Andrea Branzi, David Casini, Giovanni De Francesco, Massimo Faion, Anna Franceschini, Duccio Maria Giambi, Francesco Merlini, Paolo Gonzato, Alessandro Gori, Stefano Mandracchia – Giulia Azzini, Giovanni Oberti, Marta Pierobon, Rio Grande, Andrea Sala, Luca Scarlini, Stefano Serusi, Annalisa Sonzogni, Luca Trevisani, Patrick Tuttofuoco, Simone Zaccagnini
- PlasMA, Plastic Modern Art
- via Gargano 15, Milano