ÇIN: una tribuna alta, che è un palcoscenico, un’agorà, un’arena o uno stadio si erge nella Sala d’Armi dell’Arsenale; una sorta di gabbia da un lato, poco evidente; il tutto avvolto in un suono che si rinnova senza sosta in un’infinita varietà di combinazioni. Il risultato è un ritmo, un pulsare, una serie di riverberi; una fitta architettura di suoni.
Cevdet Erek, Çın
Il padiglione della Turchia è un’espressione del disagio collettivo di una parte del Paese privata della propria voce. Un’opera inattesa, sottile ma decisa. #BiennaleArte2017
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- Gabi Scardi
- 18 maggio 2017
- Venezia
Dall’insieme emergono solo poche parole, appena percepibili: “An individual’s voice growllllllhhhhrrrr….”, con un esagerato espandersi del suono sul finale; e poi “zang tumb tumb”: un’onomatopea marinettiana che evoca colpi e rullare di tamburi su un campo di battaglia. Parafrasati a mo’ di parodia, sono il suono dell’ego ipertrofico fino al paradosso di un soggetto che pretende di rappresentare una collettività – un Paese intero – e il rumore che si leva da un’area irrequieta: si potrebbe trattare di una zona urbana, per esempio di Istanbul. Il resto è un insieme di suoni sommessi, una sorta di acufene diffuso, un disturbo, un ronzio, una turbolenza, e una serie di riflessi visivi che penetrano dalle finestre.
Cevdet Erek, l’artista a cui è stato affidato il Padiglione Turco della 57. Biennale d’Arte di Venezia, è nato nel 1974, ha studiato architettura e quindi ingegneria e design del suono a Istanbul, ha suonato con una band rock poi rivoltasi alla sperimentazione, ha partecipato come compositore a diverse produzioni cinematografiche. Le sue opere si configurano come nuclei di suono, spazio e tempo. Per qualsiasi artista, rappresentare il proprio Paese alla Biennale di Venezia è un impegno. Ma in questo momento storico il padiglione turco è una sfida ancora più particolare.
Il risultato è una riflessione sugli effetti che la situazione politica può avere sulla personalità individuale e, al contempo, un’espressione del disagio collettivo che in questa fase vive una parte del Paese, privata com’è della propria voce. Un’opera inattesa, sottile ma decisa. Il tutto è accompagnato da un pieghevole quadrato – come quadrate sono le copertine dei dischi che abitano la memoria e l’immaginario di un appassionato di musica – su cui compare un testo solo apparentemente enigmatico: “Eliminate direct signal”, “Hear repercussions”, “No cure”, “Face history or keep on masking it”…
Çın utilizza un linguaggio criptato, come l’arte si trova a fare quando gli spazi dell’espressione si contraggono. Ma è un modo per rispecchiare gli umori, per dare forma al sommerso, per partecipare alla storia di questo momento. Il padiglione turco è stato organizzato dalla Istanbul Foundation for Culture and Arts (İKSV), che è anche responsabile della Biennale di Istanbul, prevista per settembre: un’altra sfida, in questi tempi in cui gli spazi dell’espressione si contraggono e anche l’arte deve trovare nuove energie e nuovi, non evidenti linguaggi.
© riproduzione riservata
fino al 22 novembre 2017
Cevdet Erek, Çın – Padiglione della Turchia
57. Esposizione Internazionale d’Arte
Arsenale, Sale d’Armi, Venezia
Comitato: Ali Kazma, Başak Doğa Temür, Özalp Birol, Paolo Colombo, Zeynep İnankur
Commissario: Istanbul Foundation of Culture and Arts (IKSV)