I gradi di libertà

La mostra di Ugo La Pietra, alla galleria Laura Bulian di Milano, mette a fuoco quei lavori che indagano un’idea di abitare come pratica attiva di autogestione dell’ambiente urbano.

Negli stessi anni in cui l’architetto Ugo la Pietra metteva a punto una serie di interventi volti a ripensare la città e le sue rappresentazioni, il filosofo francese Henri Lefebvre lavorava al monumentale La produzione dello spazio.

In apertura: Ugo La Pietra, Viaggio sul Reno, 1976, collage, tecnica mista su carta, 100 x 100 cm, courtesy Laura Bulian Gallery. Qui sopra: Ugo La Pietra, "I gradi di libertà", veduta della mostra, Laura Bulian Gallery, Milano 2016

Nel libro in questione, Lefebvre proponeva un modello tripartito per la lettura dello spazio, in cui allo spazio mentale (che identificava con la scienza urbanistica), e quello fisico, affiancava lo spazio sociale, prodotto dalle azioni e dall’interazione tra abitanti. È a questo terzo spazio che il filosofo francese associava possibilità e trasformazione, in quanto aperto a pratiche creative e forme di resistenza. La selezione di opere di Ugo la Pietra esposte alla galleria Laura Bulian per la mostra Gradi di Libertà, sembra accogliere, o meglio anticipare, l’appello lefebvriano a liberarsi dell’illusione di trasparenza delle rappresentazioni geometriche dello spazio, e a disegnare nuove cartografie che includano modalità non convenzionali di vivere e plasmare la città.

Ugo La Pietra, Ad ognuno la propria realtà, 1972 / 1974, collage, tecnica mista su carta, 93 x 77 cm, courtesy Laura Bulian Gallery

La mostra apre con una serie di tavole, il cui titolo, Abitare è essere ovunque a casa propria, suggerisce un tentativo di risignificare il verbo ‘abitare’. Tentativo che diviene esplicito nel manifesto che accompagna l’esposizione, in cui La Pietra avanza un’idea di abitare come pratica attiva di autogestione dell’ambiente urbano. Nelle tavole appartenenti a questa serie, La Pietra sembra attenersi, anche se non sempre fedelmente, a un preciso schema compositivo. Mentre nella parte superiore ritrae fotograficamente porzioni di città, in quella inferiore, abbandona ogni realismo e si concede alla fantasia. Sia nella tavola del 1980 che in quella del ‘75, l’artista ritraccia sommariamente l’immagine fotografica soprastante, e vi inserisce, al centro, il disegno di un interno domestico. La rappresentazione non ha pretesa di fattibilità, ma serve da monito e sollecitazione. Monito verso la spersonalizzazione incalzante dei luoghi pubblici, e sollecitazione a riaddomesticarli. Dietro le quinte da teatro, un salotto si apre verso la strada. Le linee morbide e i toni colorati delle poltrone invitano i passanti a mettersi comodi.

Ugo La Pietra, On the bench, 1972, stampa b/n, Courtesy Laura Bulian Gallery, Milano

Il binomio interno/esterno, seppure con una differente declinazione, ritorna in Viaggio sul Reno, diario fotografico di una gita condotta da La Pietra a bordo di un battello nel ’76. L’opera si compone di una serie di tavole in cui l’artista combina fotografie della riva del fiume ad immagini degli interni dell’imbarcazione. La disposizione in sequenza del primo blocco di fotografie, e la loro differenza minima, suggerisce il movimento lento della navigazione su fiume, e rivela l’accuratezza adottata dall’artista nel registrare l’esperienza del viaggio. Nella parte inferiore delle tavole, La Pietra scrive dei testi a commento delle immagini, e raccoglie alcune riflessioni su quel che accade all’interno e all’esterno dalla barca. Il tema ricorrente in tutte le opere della serie è quello della non comunicazione, tanto tra interno esterno, quanto tra le persone che condividono il tempo e gli spazi di viaggio.

La Pietra descrive un’umanità le cui facoltà percettive si sono affievolite, compromettendone la possibilità di lettura dell’ambiente circostante. I canti delle valchirie, scrive, che un tempo accompagnavano la navigazione, non sarebbero oggi più udibili alle orecchie dei passeggeri assopiti che insieme a lui navigano il fiume. La medesima assenza di comunicazione è riscontrabile all’interno del battello, dove la prossimità fisica non sembra corrispondere a quella umana. Incrociare lo sguardo dell’altro è poco più di un’illusione di contatto, che non garantisce un incontro più profondo. Guardare e lasciarsi guardare, scrive a più riprese La Pietra, non sono ancora comunicare.

In Intinerari preferenziali, oltre al tentativo di analisi e decodifica dello spazio, l’artista avanza un'ipotesi progettuale. Come in Abitare è essere ovunque a casa propria, la struttura delle tavole è bipartita. La fascia superiore è destinata alla rilevazione fotografica, quella inferiore al progetto e al disegno. Qui però l’intento del progetto, è meno visionario, e la forma più minimale. I disegni non prevedono l’aggiunta di alcun elemento allo spazio urbano, ma si limitano a suggerire modalità alternative di attraversarlo e navigarlo. Modalità più efficienti, derivate dall’esperienza concreta invece che dalla regola astratta.

È questo, forse, il lavoro più irriverente di tutta la mostra, ma è un’irriverenza giocosa e sempre garbata, in armonia con lo spirito trasognato e radicale dell’artista. La tavola che meglio incarna questa poetica, prende spunto dalla fotografia di due bambine che cercano di uscire da un condominio passando attraverso le sbarre della recinzione esterna. Sotto questa immagine, La Pietra ne colloca un’altra, che ritrae il condominio e il giardino, sulla quale traccia una riga diagonale che unisce la porta del palazzo alla cancellata. Attraverso il gesto di modifica della fotografia l’artista mette in risalto la reinvenzione dello spazio operato dalle giovani abitanti. Si tratta, in realtà, di un’alterazione invisibile, di un sentiero che esiste solo nelle mappe mentali di chi ha il coraggio di uscire dal seminato.

Sempre della serie Itinerari preferenziali, sono una serie di tavole realizzate attraverso il supporto del Commutatore, un piano a inclinazione variabile che permette all’artista di osservare la medesima porzione di città da angolazioni differenti. Le tavole esposte includono immagini e testi che illustrano il funzionamento di questo strumento, e delle sequenze di fotografie realizzate tramite di esso. La prima immagine, scattata in posizione eretta, offre una vista frontale del portone di un palazzo, poi mano a mano che l’asse si inclina, lo sguardo si alza, fino a che l’edificio scompare, e il punto di fuga si perde nel cielo. La moltiplicazione dei punti di vista è un tema ricorrente della mostra, e più in generale della poetica di La Pietra. In una delle tavole poste all'ingresso dello spazio espositivo, l'immagine di uno specchio caleidoscopico riflette porzioni della facciata di un palazzo. Nella parte alta del foglio, le tessere sono disposte ordinatamente a formare un quadrato, in quella bassa sembrano librarsi sulla superficie bianca della pagina come una manciata di coriandoli. La Pietra ci invita a dare forma alla nostra idea di città, sostituendo ai percorsi obbligati, i sentieri imprevedibili dell'esperienza.

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