“Siete invitati a venire a vedere ruotare la terra”, recitava l’annuncio della dimostrazione del pendolo di Léon Foucault del 1851 al Pantheon di Parigi.
Eppur si muove
Nella mostra al Mudam Luxembourg l’evoluzione del rapporto tra arte e tecnica non segue un ordine cronologico ma tematico, esperienziale e metodologico.
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- Giusy Checola
- 23 luglio 2015
- Lussemburgo
Nella mostra organizzata dal MUDAM Luxembourg in occasione della presidenza lussemburghese del Consiglio dell’Unione europea in collaborazione con il Museo delle Arti e dei Mestieri di Parigi, il pendolo accoglie i visitatori oscillando sulla tavola in argilla locale disegnata da Sophie Krier e si riposiziona come punto di origine e di ritorno attorno a cui ruota la mostra.
La prima opera allestita nello spazio del primo capitolo (La misura del mondo) è la scultura cinetica Antigravity Model (2005) dei Grönlund-Nisumen, un giroscopio che modella un sistema di orbite “liberate” dalla forza gravitazionale esercitata dalla massa centrale, che invita all’esperienza plurisensoriale e alla conoscenza diretta dei suoi meccanismi; invece l’opera che chiude il terzo e ultimo capitolo (Le invenzioni applicate) è Trophy (2012), la scultura-installazione di Conrad Shawcross che imprigiona in un cubo di vetro un braccio robotico che ispeziona le corna di cervo poste su un piedistallo. Le corna sono quelle di Atteone che secondo la mitologia greca viene trasformato in cervo da Artemide per punizione.
“Eppur si muove”, la frase che intitola la mostra con cui Galileo si difendeva dalle accuse dell’Inquisizione, rivela il passaggio dal movimento generico alla rotazione percepita, dall’esperienza plurisensoriale alla predominante visiva, dalla conoscenza del mondo alla creazione della sua rappresentazione. In questo quadro Raphaël Zarka traccia le linee delle forme poliedriche complesse ispirate all’opera dell’astronomo e matematico inglese Abraham Sharp (Geometry Improved, XVIII secolo) incise su pezzi di travi di quercia, a cui fa da contrappunto la scultura-strumento di navigazione Trust Compass di Ólafur Elíasson (2013), che colloca 36 calamite all’estremità di un pezzo di legno sospeso in corrispondenza con i 360 gradi del cerchio.
L’evoluzione del rapporto tra arte e tecnica non segue un ordine cronologico ma tematico, esperienziale e metodologico. Il secondo capitolo della mostra (La materia svelata) che indaga le scale, le forme visive ottiche e acustiche e le manifestazioni dell’invisibile, è allestito al piano interrato e nell’extra-spazio del parco, dove Pays/scope di Miguel Palma (2012), una scultura composta da un grande specchio circolare e un telescopio, permette di vedere un edificio situato nella piana di Saint-Esprit, catturando l’immagine di un paesaggio fluttuante definito da un punto di vista non direttamente umano. Ma il passaggio dalla rappresentazione del mondo alla presentazione della sua creazione in laboratorio [1] si svela nel video Third Hand, Tokyo, Yokohama, Nagoya (1980) in cui il cyber-artista Stelarc si esibisce nella dimostrazione dell’evoluzione dell’uomo attraverso la sua integrazione alla macchina.
Da un lato la mostra avvicina i campi dell’arte e della tecnica evidenziando le pratiche sperimentali comuni, l’intuizione, l’osservazione, la creazione di dispositivi di verifica e l’esperienza dei fenomeni del suono, come nell’installazione wellenwanne lfo di Carsten Nicolai (2012) che rende visibili le onde sonore impercettibili. Dall’altro restituisce a questo rapporto e alle sue conseguenze sociali, etiche e culturali la necessaria complessità, spesso ridotta a pseudo-certezze dogmatico-evoluzioniste, come suggerisce Perfect Time (8x3), il tempo incalcolabile di Darren Almond segnato dal tabellone di orologi digitali erroneamente sincronizzati.
La mostra traccia anche le differenze tra la rappresentazione come progresso tecnico-scientifico e la valorizzazione della riflessione critica, come indica il Globus senza riferimenti cartografici di Kris Martin (2006) che si contrappone al Teodolite e cerchio ripetitore (XIX secolo), fabbricato da Henry Prudence Gambery per misurare le lunghe distanze; tra il Nuovo Realismo di Jean Tinguely, di cui è esposta l’imponente “costellazione meccanica” Fatamorgana, Méta-Harmonie IV (1985) che produce musica concreta, e il razionalismo evoluzionista dell’arte genetica, evocato dalla forma a elica dell’installazione Wilhelm Noack oHG di Simon Starling (2006), costituita da bobine cinematografiche autoreplicanti.
All’interno della mostra è stato allestito un laboratorio pluridisciplinare guidato da Paul Granjon per la produzione del robot-guida Guido, delimitato da una rete di protezione che porta alla cappella neogotica di Wim Delvoye (2006), le cui vetrate sono decorate da frammenti radiografici del corpo umano provenienti da Cloaca, il suo dispositivo che riproduce il sistema digestivo umano.
Al termine del percorso espositivo, l’uomo non misura più il mondo ma la sua capacità di plasmarlo, di situarsi nel punto più vicino al centro della terra e al ruolo di creatore nell’infinito processo di perfezionamento.
1 Roberto Barbanti, Dall’auto-referenzialità all’inter-referenzialità. La questione della complessità nell’esempio dell’arte genetica, in Roberto Barbanti, Luciano Boi e Mario Neve (dir.), Paesaggi della complessità. La trama delle cose e gli intrecci tra natura e cultura, Milano – Udine, Mimesis Edizioni, 2011
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