Quando si arriva nella sala principale della Galleria Continua a San Gimignano, l’emozione è fortissima. Al centro della grande platea di questo ex cinema degli anni Cinquanta, si apre un’enorme voragine, un gorgo d’acqua del diametro di 5 m: è Descension l’ultima opera di Anish Kapoor.
Anish Kapoor
Alla Galleria Continua di San Gimignano, le opere del grande artista anglo-indiano evocano contemporaneamente un ventaglio d’immagini opposte tra loro, come l’imminente arrivo di un cataclisma e, allo stesso tempo, il richiamo di una balena che vuole avvicinare a sé i propri piccoli.
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- Beatrice Zamponi
- 05 giugno 2015
- San Gimignano
Guardare il vortice è come fissare l’abisso, il suo moto incessante ipnotizza, mentre le increspature scure c’inghiottono. Il turbine emette un suono che sembra provenire dalle viscere della terra; dal pavimento sale, penetra nelle gambe e arriva fino allo stomaco risuonando basso come fosse emesso da un gigantesco organo a canne.
Ciò che ancora una volta colpisce del lavoro del grande artista anglo-indiano, nato a Mumbai nel 1954, è la capacità di evocare contemporaneamente immagini e sensazioni doppie: il frastuono è infatti simultaneamente spaventoso e vitale. Nella mente si apre un ventaglio d’immagini opposte tra loro, come l’imminente arrivo di un cataclisma e, allo stesso tempo, il richiamo di una balena che vuole avvicinare a sé i propri piccoli. È un suono profondo e ancestrale, che evoca la fine come la nascita di tutte le cose.
“Viviamo in un mondo dominato da forme antagoniste” – spiega Kapoor – “giorno e notte, maschio e femmina, giusto e sbagliato, in un processo inevitabile e continuo. Sono estremamente affascinato dal modo in cui un semplice oggetto possa chiamare alla mente tutti questi oscuri opposti. Il vortice è una forma, ma non lo è, è un buco ma è acqua; molte persone si chiedono anche se sia o meno un’opera d’arte. Credo che tutti questi interrogativi siano importanti perché diventano metafora della complessità del nostro presente che non è mai univoco”.
Beatrice Zamponi: Da sempre lei indaga un mondo interno, profondo che sembra prendere ispirazione dal corpo femminile. Il tema della caverna così come quello del concavo e dell’implosione delle forme sono una costante del suo lavoro. Anche le sculture in alabastro rosso presenti in mostra ricordano nelle superfici screziate le venature dei tessuti interni di un grembo e nelle cavità che le attraversano forme circolari e accoglienti come piscine di liquido amniotico.
Anish Kapoor: Dopo la scoperta della psicanalisi di Freud, la donna e il suo universo, assumono un ruolo centrale nella ricerca dell’identità dell’uomo moderno che comincia a rivolgersi verso l’oscurità, diventando problematico e insicuro, cosciente di muoversi su un terreno dove nulla è più certo, questa è la mia dimensione. I luoghi della nostra modernità sono, infatti, sempre più confusi. Internet per esempio, è uno spazio rovesciato che confonde luce e buio, e molto spesso anche bene e male. La contemporaneità ha molte facce e prospettive da cui essere guardata, è multiforme, poi ci sono le negazioni totali, le visioni a senso unico, come i fanatismi. Da artista, credo di avere l’obbligo di relazionarmi con la complessità del reale nella sua interezza.
Beatrice Zamponi: Lo studio del vuoto è uno dei principali epicentri della sua poetica. Lei l’ha definito come il momento che precede la creazione. Colpisce, ancora una volta, la duplice valenza: positiva perché in quell’istante tutto è possibile e negativa perché la pluralità della scelta può arrivare anche a paralizzare.
Anish Kapoor: Da tempo, sono giunto alla conclusione che il vuoto in realtà non esiste, perché noi lo colmiamo continuamente con le nostre aspettative e le nostre paure. Nelle mie sculture, chiamate oggetti vuoti, si racchiude dunque la possibilità: incentivano un pensiero filosofico, non sono la risposta a nulla, semplicemente presentano una condizione dove tu devi fare il resto, devi riempire e questo definisce il tuo vero spazio, anche se è pieno di paura. È l’idea kantiana per la quale necessariamente nel sublime sia incluso il terribile.
Beatrice Zamponi: Il suo lavoro spinge lo spettatore a confrontarsi con una dimensione interna più che con l’esterno. Paradossalmente, più l’opera è di proporzioni monumentali, astratta e misteriosa e più lo sguardo sarà naturalmente rivolto a un dialogo intimo con noi stessi.
Anish Kapoor: In qualità di esseri umani, abbiamo un’idea di come possa essere il cosmo, ma non credo sia molto interessante, il modo migliore per conoscerlo non è fantasticare con la testa alzata verso il cielo, ma semplicemente rivolgere lo sguardo all’interno. Se pensiamo all’oscurità, nessuna oscurità può essere più intensa di quella che ognuno di noi si porta dentro. Il mio lavoro è all’opposto dell’indagine compiuta dall’eroe classico; sono il contrario di Ulisse che cerca fuori da sé, che insegue la luce e il sole, a me interessa il buio.
Beatrice Zamponi: Il tema dell’oscurità è nodale anche nella sua teoria del colore, ce ne può parlare?
Anish Kapoor: Storicamente il colore è legato alla luce, basta pensare al lavoro di Turner o Monet. Poi ci sono alcuni artisti come Rothko per cui il colore è legato a una qualità oscura ed io appartengo a questa tradizione. Sono interessato a due aspetti: il primo è che il colore genera spazio, può farlo sembrare più piccolo o più grande e in generale non è neutro. L'altro aspetto è che non lo considero come una copertura, ma come una condizione, se faccio qualcosa di rosso allora il fatto che sia rosso diventa una sostanza. Il colore cambia le condizioni, può cambiare la nostra percezione rispetto al tempo, quindi ha delle proprietà astratte. Il colore è soprattutto nella nostra mente e molto poco nei nostri occhi. Il rosso ad esempio: percepiamo il nostro spazio interno come rosso e rosso è anche il colore della terra, la stessa con la quale tradizionalmente è stato formato il corpo di Adamo, il primo uomo”.
Beatrice Zamponi: Rossa è anche la possente colonna di pigmento che si trova nella sala più piccola della galleria e che rappresenta l’opera più antica presente in mostra, datata 1992. La forma è in espansione, entra contemporaneamente nel soffitto e nel pavimento.
Anish Kapoor: Si tratta di un flusso energetico a getto continuo, esiste in entrambe le direzioni, anche se noi possiamo vederne soltanto una sezione. È a partire dagli anni Ottanta che ho iniziato a realizzare delle sculture costituite unicamente di pigmento puro. Tornato in India per un viaggio, dopo che ormai vivevo in Inghilterra da molto tempo, rimasi colpito dai cumuli di pigmento che venivano venduti per le strade. Mi affascinava pensare che i colori sono un materiale, sono fisici, ma allo stesso tempo sono un’illusione, perché sono polvere. Volevo dunque fare un oggetto che fosse molto presente e contemporaneamente avesse la strana qualità di essere assente. Il primo lo realizzai sul pavimento come se una metà dell’opera fosse sotto il suolo, somigliava a un iceberg. Ho cominciato così a pensare all’idea che per ogni oggetto nell’universo c’era un suo equivalente invisibile, un oggetto mancante o un non-oggetto come li chiamo io”.
Beatrice Zamponi: Il suo lavoro ha una forte matrice astratta e filosofica. Ma in che modo l’arte può e deve incidere sul nostro quotidiano?
Anish Kapoor: Le migrazioni sono uno dei grandi problemi del nostro tempo l’altro tema cruciale è l’ambiente. Quello che ci sentiamo dire è che i politici e gli scienziati troveranno soluzioni. Personalmente, invece, credo che la soluzione verrà dall’arte, da un progetto creativo, dal design, da qualcosa che non è propriamente razionale. Quello che l’artista deve avere è un’intuizione, un senso poetico. Dobbiamo imparare a relazionarci con ciò che non è sicuro, che è illogico, a non sapere; dobbiamo imparare a relazionarci con gli opposti, questo è il nostro lavoro in qualità di uomini moderni e come donne ci sono molte più probabilità di trovare soluzioni, nella mia visione sono loro il vero futuro.
Beatrice Zamponi: Tra pochi giorni, inaugurerà anche la sua grande mostra alla reggia di Versailles. Com’è intervenuto in quel sontuoso spazio?
Anish Kapoor: Versailles è un oggetto matematico quasi perfetto, costruito con un’accuratezza e una finezza di pensiero davvero straordinarie. Per un artista si tratta di un luogo estremamente difficile con cui confrontarsi. Ancora una volta ho cercato di lavorare sugli opposti rovesciando lo spazio e invertendone i canoni.
Beatrice Zamponi: C’è un tasto molto dolente che la lega al nostro Paese. La realizzazione della stazione di Monte Sant’Angelo della metropolitana di Napoli il cui cantiere è ormai fermo da anni. Ci sono novità?
Anish Kapoor: Ho appena avuto una magnifica notizia, anche se non so se fidarmi... A quanto pare, la città ha pagato per trasportare le due sculture che ho ideato per la stazione e che da tempo sono bloccate in un deposito in Olanda, dovrebbero arrivare tra poche settimane. Staremo a vedere.
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fino al 5 settembre 2015
Anish Kapoor
Galleria Continua, San Gimignano