In questo momento, l’esperienza spaziale tende a delineare utopie (e distopie) del passato e del futuro.
Le forme interstiziali del degrado
Nella mostra al CCA di Kitakyushu l’artista turco Emre Hüner ha creato un insieme di riferimenti interconnessi, che mettono a fuoco forme abitative di un futuro post-apocalittico.
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- Pelin Tan
- 25 febbraio 2015
- Kitakyushu
Quest’inverno, impiegare ore di lavoro nella lettura e nella scrittura, in uno studio a pochi passi dalla Biblioteca pubblica di Kitakyushu di Arata Isozaki, del 1974, ha inevitabilmente risvegliato il mio interesse a soffermarmi più a fondo sul valore attuale e futuro dell’eredità del Metabolismo e di altre concezioni utopiche dell’architettura dell’Antropocene in cui attualmente viviamo.
Secondo le riflessioni dell’artista Emre Hüner in preparazione alla sua mostra – una costellazione di forme e materiali scultorei molteplici, collocati negli spazi espositivi del Centro d’arte contemporanea di Kitakyushu – essa comprende l’intreccio di più stratificazioni formali dettate dalla raffinata esperienza di architetture, insediamenti e case senza tempo. La città di Kitakyushu, che vanta anche un museo d’arte contemporanea progettato da Isozaki, è un’ex città siderurgica che conserva l’impronta sociale degli ex lavoratori dell’acciaio della zona di Yahata, nel 1944 sotto la minaccia del bombardamento atomico prima di Hiroshima.
Sede della Nippon Steel, della Zenrin e di molte altre fabbriche, la città ha assunto nel passato la forma di un ambiente spaziale industriale. Strade di scorrimento veloce, metropolitana, aree industriali come depositi di rifiuti urbani, il parco tematico Space World, la storia delle classi lavoratrici e le sue tracce nei quartieri… Kitakyushu sta realizzando attualmente una ristrutturazione destinata a farne una città di modello ecologico in contrapposizione all’eliminazione dei rifiuti radioattivi dello tsunami. Il processo antropocenico dà forma alla ricerca da parte di Hüner di forme utopiche, che lo analizzano in quanto processo di decadimento di oggetti interstiziali.
Nel corso dei suoi numerosi viaggi in Giappone, Hüner ha fuso l’esperienza spaziale di alcune città giapponesi con la continua ricerca sulla varietà d’idee formali e progettuali degli architetti del Metabolismo, di Cedric Price, di Buckminster Fuller e di Isamu Noguchi, nella ricerca di forme di insediamento e di abitazione del passato e del futuro. Benché la ricerca adotti visioni eterogenee, per quanto parallele, del loro modo di progettare, questi architetti del XX secolo fanno ampio riferimento agli habitat immaginabili del passato e del futuro. E comunque la ricerca dell’artista sulle forme utopiche/distopiche in rapporto soprattutto con gli architetti e i progettisti d’avanguardia del XX secolo non mira a concepire un mondo utopico ‘visionario’.
Penso che l’influsso più forte che Hüner ha subito in questa ricerca sia piuttosto il rapporto reciproco tra questi pensatori: i mondi paralleli, l’interazione delle loro impostazioni mentali e il dialogo tra Price e Isozaki iniziato negli anni Sessanta, o quello tra Fuller e Isamu Noguchi negli anni Trenta (il prototipo della Dymaxion Car), oppure ancora la proposta della Triton City, la città galleggiante di Fuller per la baia di Tokyo (1960). Tutti questi episodi approdano a un’immagine comune delle forme del futuro cui facciamo quotidianamente riferimento nella nostra vita e nel nostro rapporto con la spazialità fisica. Ispirandosi alla Fisica del futuro di Michio Kaku, alle Lezioni americane di Italo Calvino, alla Città marina di Kiyonori Kikutake, alla Nakagin Capsule Tower di Kisho Kurokawa e alla Torre del Sole dell’artista Taro Okumoto, Hüner ha elaborato nel corso di un paio d’anni le sue sculture per un immaginario insediamento futuro.
Una rilettura attraverso le sculture di Hüner: in un testo del 1960 Isozaki descrive i propri obiettivi alla luce del suo interesse per il Fun Palace di Cedric Price: “verso la dissoluzione e l’abbattimento dei concetti architettonici attuali”. [1] Benché l’ispirazione implicita consista nel decadimento degli oggetti di un insediamento o di un’abitazione immaginari, le sculture di Hüner prendono a modello il senso dell’idea spaziale della dissoluzione del concetto architettonico. Nell’intervista in cui Rem Koolhaas chiede a Isozaki di spiegare il termine Metabolismo, l’architetto giapponese risponde parlando dell’utopia: “Il tempo è lineare e cresce, ovvero procede. È una progressione lineare da un inizio a un’utopia finale”. [2] Isozaki continua parlando delle sue sensazioni nel 1945, che in realtà possono ben riflettere la nostra situazione nell’attuale periodo di guerre e disastri ecologici: “C’era un senso di quiete assoluta, da cui poteva prendere avvio un’altra epoca, un’altra storia”. [3] Forme e oggetti sopravvivono alla fine, per essere l’inizio di una storia diversa.
Nella mostra al Centro d’arte contemporanea di Kitakyushu l’artista ha creato un insieme di riferimenti interconnessi, che mettono a fuoco forme abitative di un futuro post-apocalittico e momenti di architettura del decadimento. Vi compaiono icone in forma raffigurazioni murali insieme con un’installazione spaziale di modelli e sculture in vari materiali. Il keyrin (che significa “ruote in gara”), inventato a Kitakyushu nel 1948 per raccogliere scommesse, è una forma di ciclismo sportivo che si svolge in un velodromo e richiede un’uniforme particolare. Perciò le figure sulle pareti sono disegnate come uniformi in quanto icone che rappresentano il concetto astratto giapponese di velocità, di rischio e di vita in un’epoca ignota.
“Il processo di decadimento genera forme differenziali per sottrazione periferica nell’oggetto degradato”,[4] scrive Reza Negarastani per definire l’architettura e la politica del decadimento leggibili nella costellazione di oggetti e modelli creata dall’artista. La guerra, il disastro ecologico e il collasso tecnologico hanno un’incidenza forte sulla nostra vita quotidiana e sono un indizio dell’infrastruttura spaziale prossima ventura. I disastri ecologici offrono ai governi fondamentali occasioni di realizzare strategie di ulteriore distruzione del paesaggio ecologico e dei suoi abitanti. Questa fase antropocenica porta alla collaborazione tra governi e altri attori in vista di un aumento del controllo sul paesaggio ecologico. Il collasso tecnologico si realizza nel caso dei droni, in cui la guida di pixel non umani ha per esito la demolizione catastrofica di città e insediamenti.
Quando Isozaki mette a paragone i suoi intenti con l’opera di Cedric Price ammette che i suoi interessi “vanno al concetto giapponese di ma, ‘interstizio’, che non fa distinzione tra tempo e spazio. Perciò nel nostro pensiero la vita si fonda su un tempo non irreversibile”. [5] L’ambivalenza che caratterizza la percezione delle sculture di Hüner riguarda anche l’analisi della feticizzazione delle forme e dei processi dei modelli degradati vissuti, che invita a concentrare l’attenzione e a soffermarsi con più attenzione sul discorso dell’ontologia dell’oggetto e sulla terrestre esperienza senza tempo degli esseri umani in rapporto con l’attuale vita quotidiana. Tracce dell’astrazione della città galleggiante di Fuller su cui si è esercitato l’artista, poesie di Matsuo Basho e della ceramica neolitica giapponese jōmon appaiono come una folla di forme senza tempo.
© riproduzione riservata
fino al 27 marzo 2015
Emre Hüner. Floating Cabin Rider Capsule Reactor Cycle
CCA Kitakyushu Project Gallery
Note:
1. Arata Isozaki, Erasing Architecture into the System, p. 25–47, in Re: CP, a cura di Hans Ulrich Obrist, Birkhauser Architecture, 1999.
2. p. 27, conv. tra Arata Isozaki e Rem Koolhaas, Project Japan: Metabolism Talks…by Koolhass and Obrist, a cura di Kayoko Ota, James Westcott, Taschen, 2011, Köln.
3. p. 27, conv. tra Arata Isozaki e Rem Koolhaas, Project Japan: Metabolism Talks…by Koolhaas and Obrist, a cura di Kayoko Ota, James Westcott, Taschen, 2011, Köln.
4. p. 386, Reza Negarestani, Undercover Softness: An Introduction to the Architecture and Politics of Decay, COLLAPSE VI: Geo/Philosophy (January 2010): 382 [379–430].
5. p. 46, Arata Isozaki, Erasing Architecture into the System, p. 25–47, in Re: CP, a cura di Hans Ulrich Obrist, Birkhauser Architecture, 1999.