La fotografia, secondo le parole di John Szarkowski, si ottiene attraverso una frammentazione selettiva della realtà, al contrario della pittura che si fonda sulla sintesi.
Emilio Pemjean
Risalendo alla radice etimologica della parola, i Palimpsestos di Emilio Pemjean sono il risultato di un percorso articolato che consente di esplorare la complessità della costruzione delle immagini.
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- Giaime Meloni
- 27 novembre 2014
- Parigi
L’azione fotografica di Emilio Pemjean si configura come un gesto rappresentativo capace di unire l’essenzialità propria alla pittura con il processo di selezione fotografica nell’intento di realizzare una narrazione poetica del vuoto. I Palimpsestos, oggetto di una ricerca teorica e pratica che riporta alla radice etimologica della parola, sono il risultato di un percorso articolato che consente di esplorare la complessità della costruzione delle immagini. Le fotografie sono ottenute attraverso la realizzazione minuziosa di modelli architettonici raffiguranti dei luoghi ormai distrutti e dei quali rimane un segno solamente grazie alle tracce impresse nei quadri di alcuni maestri della pittura, da Velásquez a Caspar Friederich per citare qualche esempio.
L’essenzialità dello spazio ricostruito da Pemjean è priva di ogni indizio che possa rivelare direttamente la storia di questi spazi, che appaiono ad un primo sguardo anonime stanze di vita quotidiana. Le immagini si susseguono accompagnate esclusivamente da un numero progressivo oltre alle informazioni generiche che riportano il luogo, la data di costruzione e di distruzione. Se da un lato l’attenzione visiva dello spettatore è rivolta interamente alle qualità spaziali degli ambienti intimi e raccolti, dall’altro lato la volontà di ricostruire l’esperienza mnemonica permette di stimolare la ricomposizione arbitraria di questi spazi. L’immagine nella sua presenza bidimensionale dà la possibilità di immaginare.
Il lavoro d’interpretazione della storia dell’architettura attraverso i dipinti ricostruisce la memoria immaginaria dei luoghi, oltre a ricostruirne materialmente la presenza spaziale. Il lavoro artistico dell’artista spagnolo incomincia dall’acquisizione delle informazioni necessarie per ricostruire lo spazio. Al contrario della pittura dove la luce è sempre irreale, Pemjean ricostruisce l’architettura sotto il gioco sapiente di una luce calibrata in maniera rigorosa secondo le caratteristiche dei diversi luoghi. La luce di Delft non può essere la stessa di Arles.
L’esposizione, accolta in una piccola sala del Colegio de España, sottolinea la necessità di una dimensione contenuta per la contemplazione dei Palimpsestos. L’allestimento, presentato nel circuito Mois de la Photo Off di Parigi, si articola su un dialogo costante tra i modelli architettonici, concepiti come scatole magiche dentro le quali guardare come da una finestra, e le immagini da essi tratti. Il gioco di scala tra il modello e l’immagine che lo riproduce appare come una mise en abîme capace di riportare alla questione fondamentale della rappresentazione fotografica su quale sia la sua relazione con la realtà che essa rappresenta ed interpreta. A questo proposito vale la pena di citare le parole di Giò Ponti che nelle pagine di Domus considerava la fotografia come una possibilità capace di fornirci “una vista ulteriore, una vista astratta, mediata, composta”, in sostanza una vista “indipendente ed autonoma”.
Il lavoro di Pemjean offre le possibilità di una vista ulteriore, superando il valore documentario della fotografia come semplice riproduzione esatta della realtà ma ponendosi come strumento di analisi critica dello spazio. Le immagini rappresentano il risultato di un modus operandi proprio al rigore dell’architettura, in questo modo superano una qualificazione all’interno di un genere fotografico proprio alla rappresentazione apparentemente neutra dell’oggetto edilizio, per porre degli interrogativi essenziali allo sviluppo del progetto architettonico.
© riproduzione riservata
fino al 30 novembre 2014
Emilio Pemjean: Palimpseste
Colegio de España, Parigi