Nel 2007, lo stesso anno in cui l'ex presidente Nicolas Sarkozy avviava il progetto Grand Paris per rilanciare l'immagine di Parigi come metropoli globale, nasceva Monumenta, l'evento che ogni anno invita un artista internazionale a progettare un'opera per la gigantesca navata del Grand Palais.
La strana città
"L’étrange cité", opera monumentale creata dai Kabakov al Grand Palais di Parigi, è una città ideale che riassume temi e momenti del lavoro della coppia di artisti.
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- Giusy Checola
- 18 giugno 2014
- Parigi
Nel 2013 la Réunion des musées nationaux – Grand Palais, in collaborazione con il Multimedia Art Museum di Mosca, ha invitato Ilya ed Emilia Kabakov, che hanno progettato L’étrange cité realizzata un anno più tardi per mancanza di fondi, con la curatela di Jean-Hubert Martin, e grazie al sostegno, tra gli altri, di Novatek, secondo produttore di gas in Russia, e della compagnia petrolifera francese Total.
In un momento storico delicato per i rapporti dell'Europa con la Russia di Putin, principale protagonista delle grandi trasformazioni in corso, dalla crisi Ucraina (da cui provengono i Kabakov) allo storico accordo di fornitura energetica con la Cina, che influenzerà le strategie finanziarie e geopolitiche globali dei prossimi anni, la riflessione sulla nozione stessa di monumentalità assume una nuova centralità culturale e politica. Ma per i Kabakov la monumentalità non attiene alla vita terrestre e terrena, bensì alla potenza dell'energia cosmica e alla superiorità del mondo celeste, a cui ci lega un costante movimento di ascesa e discesa della condizione umana, di cui l'artista è missionario culturale. Attraverso le sue opere, l'artista ha il compito di trasmettere al genere umano una sorta di codice di accesso allo scopo di cambiarne il modo di vivere e pensare.
Il luogo in cui risiede l'origine del “processo culturale infinito” di cui i Kabakov sono portatori è il passato, e la linea che attraverso l'arte e la cultura può collegarci alle nostre origini, quella che traccia la vita tra l'inizio e la fine, ed è la linea su cui si sviluppa il progetto de L’étrange cité. All'ingresso, la visione della grande navata è bloccata da uno dei lunghi muri bianchi della città, che sembra mostrarci in realtà la sua edificazione in progress, trasformandoci in omini che popolano la costruzione della grande Maquette. È la musica del pianista e compositore russo Alexander Scriabin, mistico dell'estasi, che ci guida verso La Porta, una rovina moderna che evoca l'arco di trionfo, che in questo caso è il varco che segna il nostro passaggio dalla sfera umana a quella sacra.
Emanata dalla Grande cupola – tramite un gigantesco grammofono di 13,50 metri di diametro, che attraverso la sua struttura e la sinestesia tra suono e colore stabilisce un dialogo estetico e temporale con la struttura del Grand Palais – la musica è l'unica opera realmente esposta nel primo spazio “cittadino” a cui si accede, il Musée Vide, un museo classico in cui le opere pittoriche sono sostituite da ovali di luce da guardare ascoltando la Passacaglia di Bach. Il Museo è come un'anticamera che ci prepara al percorso nello spazio centrale, quello della sfera, composta da quattro micro-mondi: Manas, Centro dell'energia cosmica, Come incontrare un angelo e I Portali.
Manas è la ricostruzione di un'antica città del Nord del Tibet, che si sviluppa su due livelli (uno inferiore, della vita quotidiana, e l'altro superiore, quello celeste), composta da otto montagne-torri che ricordano quelle del lago sacro Manasarovar, alla cui sommità sono installate antiche antenne e apparati che captano i segnali dal cosmo, dai Giardini Celesti e dalla noosfera, che, secondo Vladimir Vernadsky, uno dei fondatori della geochimica moderna, e Pierre Teilhard de Chardin, paleontologo, gesuita e filosofo che tentò di rendere plausibile la teoria darwiniana nell’ambito teologico, è la sfera del pensiero umano, collocata dopo la geosfera e la biosfera.
Secondo de Chardin, infatti, gli esseri umani, con la loro coscienza, sono simili ai neuroni di un grandioso “cervello globale”, motivo per cui Emilia Kabakov definisce la étrange cité come “spazio onirico collettivo”, che si attiva nel Centro dell'energia cosmica, composto dall'antica riserva energetica (che scende sulla terra con un angolazione di 60°, la stessa utilizzata per la costruzione della Torre di Babele, della Piramide di Giza, della Torre di Tatlin e per gli oratori di El Lissitzky), dal centro e dal laboratorio di comunicazione con la noosfera, per stabilire le relazioni con il passato e i mondi lontani.
Noi, nel silenzio della nostra camera, potremmo fare la nostra parte allenandoci in un esercizio che ci spiega Come incontrare un angelo che consiste nel costruire e indossare ogni giorno, ogni due ore per circa tre settimane, due ali di tulle bianco e una struttura per fissarle al nostro torace, restare soli nella nostra stanza per 5–10 minuti, per poi conservare le ali dentro a un armadio con uno specchio. L'esercizio è stato creato dai Kabakov nel 2009 per l'installazione La Maison aux personnages (2009), dove uno dei 7 abitanti indossava le ali tutte le sere, per proiettare le foto della sua vita sul muro della sua stanza e addormentarsi felice. Nella étrange cité però il gesto speculare e introspettivo diventa fortemente scenico, universale e didascalico, un'esperienza legata alla memoria individuale e agli eventi drammatici della nostra vita, come si evince dall'immagine dell'uomo che tenta di raggiungere il suo angelo con una scala, in cui ognuno di noi, credente o meno, si rivede per un istante.
I Portali, il quarto spazio della sfera al centro della città, simboleggiano il passaggio dalla sfera individuale a quella collettiva, e di fatto segnano il passaggio alla visione dell'uomo nel lavoro dei Kabakov: dall'esperienza sensibile della Cuisine Communautaire (1991), dove tra oggetti e gesti di vita quotidiana ognuno costruiva un proprio pensiero sulla società, all'esperienza sensoriale e totalizzante della étrange cité; dall'uomo lanciato nello spazio di The Man Who Flew into Space from His Apartment (1981–1988) all'uomo sulla Terra in uno stato di sospensione temporale e in perenne tensione verso l'alto; da L'Uomo sotto la doccia (1965), in attesa dell'acqua che non arriverà mai, alla certezza della rigenerazione trascendentale dell'essere umano.
Utopia è un termine compromesso, afferma Emilia Kabakov, motivo per cui hanno deciso di definire la loro città come étrange (strana). Ma la étrange cité è una città utopica per eccellenza: è stata generata da un'esperienza di prigionia e si basa su una missione pedagogica. I corridoi circolari che circondano gli spazi della sfera centrale sono costellati di disegni, bozzetti, opere pittoriche e maquette che descrivono e raccontano il processo di creazione dei quattro micro-mondi in una sorta di abecedario del “sapere universale”, a cui aspiravano i giovani artisti concettuali che si riunivano segretamente nella Russia di Stalin, e fa pensare all'enciclopedia universale dipinta sui muri della Città del Sole di Tommaso Campanella (1602).
La doppia vita vissuta durante anni del totalitarismo sovietico, tra la realtà imposta e l'immagine della realtà che gli artisti dissidenti dovevano costruire per creare un altro tipo di esistenza, sembra essere un elemento strutturale della étrange cité e della compresenza degli opposti: da un lato vi troviamo le tracce artistiche del rifiuto del dogmatismo del realismo sovietico, dall'altro l'affermazione del carattere trascendentale della vita umana e il concetto, non solo wagneriano, di “installazione totale”; da un lato vi sono le opere realizzate negli anni '70 e '80 che affermavano l'importanza storica dell'uomo ordinario e della sua vita banale, dall'altro il percorso iniziatico che intende farci riflettere “sulle grandi visioni del progresso, della scienza e dell'elevazione dell'uomo, che possono condurre al limite del disastro”; da un lato la necessità di dare forma alla vita reale, come non poteva accadere in Unione Sovietica, dall'altro il carattere inviolabile della città.
All'uscita del Grand Palais, la sensazione è quella di aver attraversato lo spazio di un testamento spirituale, particolarmente evidente nelle due cappelle, dalle proporzioni di una chiesa rinascimentale, che chiudono il percorso nella città. Nella Chapelle blanche, i frammenti di memoria dipinti interrompono la geometria di uno spazio bianco e ipnotico, una sorta di sanatorio modernista che fagocita il passato, dove una grande macchia nera occupa il posto del Giudizio universale e i frammenti di affresco sono sostituiti da frammenti di scene dipinte della vita quotidiana. A destra, la Chapelle sombre evoca lo studio dell'artista, decorato da tavole che riassumono la storia dei Kabakov attraverso immagini degli stereotipi sovietici e delle citazioni barocche, ribaltate e posizionate in direzione della linea centrale che porta all'uscita, che, definite da Ilya Kabakov la sua “psicosi personale”, vorrebbero segnare un ritorno alla “profondità dell'immagine del mondo e a una rappresentazione collettiva”.
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