Con l'omaggio del Palais de Tokyo organizzato a tre mesi di distanza dalla loro morte, l'artista ivoriano Frédéric Bruly Bouabré (1923-2014) e il nigeriano J. D. 'Okhai Ojeikere (1930-2014) ritornano simbolicamente Parigi, la città che li ha consacrati come artisti internazionali, precisamente nel 1989, con la partecipazione di Bouabré alla mostra Magiciens de la Terre, ideata da Jean-Hubert Martin al Centre Pompidou e alla Grande Halle de la Villette, e nel 2000 alla Fondation Cartier Bresson, con la mostra Hair Style, la prima personale internazionale di Ojeikere.
La conoscenza del mondo
Con l'omaggio del Palais de Tokyo l'artista ivoriano Frédéric Bruly Bouabré e il nigeriano J. D. 'Okhai Ojeikere ritornano simbolicamente a Parigi, la città che li ha consacrati come artisti internazionali.
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- Giusy Checola
- 24 aprile 2014
- Parigi
L'omaggio a Bouabré e Ojeikere è inserito all'interno del programma collaterale alle grandi mostre intitolato Les Alertes, con cui il Palais de Tokyo assume pubblicamente una posizione rispetto all'attualità politica ed economica internazionale, rendendo omaggio ad artisti e curatori che si sono distinti per il loro impegno politico, sociale e culturale, come dimostra il primo Alerte dedicato alle performer russe Pussy Riot. Bouabré e Ojeikere hanno dato un grande impulso in Africa alla creazione di nuovi immaginari attraverso le pratiche artistiche contemporanee, e, in ambito globale, alla conoscenza delle evoluzioni delle identità e delle pratiche estetiche africane.
L'11 marzo 1948 Bouabré, funzionario della ferrovia in Senegal, ebbe una visione, in cui Dio si manifestò in forma di “sette soli colorati che formavano un cerchio di bellezza” attorno alla Madre-Sole, affidandogli il compito di trasmettere universalmente il sapere del suo popolo e quello del mondo. Divenne così “Cheik Nadro, colui che non dimentica”, e a partire dagli anni '70 cominciò a trascrivere sulle celebri tavolette in formato cartolina le sue rivelazioni, creando il nuovo alfabeto Bété, oggi raccolto nell'enciclopedica serie “La Connaissance du Monde”. Ma, oltre alla visione celeste, c'è anche un altro aspetto che potrebbe aver influito sulla necessità di Bouabré di elaborare la sua pratica artistica e spirituale: l'importanza che riveste la definizione della lingua nella costruzione dell'identità nazionale ivoriana post-coloniale.
Questo processo rivela la complessa relazione che intercorre tra i paesi colonizzati e i colonizzatori, tanto che dal 1985 la Côte d'Ivoire ha introdotto una legge che vieta l'utilizzo del suo nome tradotto dal francese, imponendola con forza anche all'ONU. Non è un caso dunque che l'impegno militante di Bouabré si sia focalizzato principalmente sulla creazione di un alfabeto di pittogrammi della sua lingua nativa, il Bété, che lo scienziato naturalista Théodore Monod aveva pubblicato per la prima volta nel 1958 nelle sue Notes africaines.
"Les liéns sacrées du mariage: sur le bord de la lagune Ébrié, en Côte d'Ivoire, un couple français se marie". Questa frase si ripete ciclicamente come un mantra attorno a ciascuna delle 150 tavole del ciclo Les liens sacrés du mariage, realizzato tra il 2010 e il 2011, che celebra la sacralità del matrimonio come momento di procreazione. Ogni tavola rappresenta la stessa scena, composta dai due lati dello stesso specchio: nella parte superiore la coppia è rappresentata nella sua veste e nel suo ruolo sociale (l'uomo guarda lo spettatore negli occhi, la donna mai, è sempre di profilo, con lo sguardo rivolto all'uomo); nella parte inferiore, nell'atto sessuale, dove il fallo ripercorre il movimento dei raggi di Sole che cadono sulla donna distesa, ossia sulla Terra.
Per l'utilizzo dei colori che diversificano le etnie e le culture del mondo e per la ripetizione seriale dei pittogrammi, Les liens sacrés du mariage potrebbe essere letta anche come la narrazione visiva di una fiaba pop-africana, che da un lato rappresenta l'inizio e la fine della vita, dall'altro un ammonimento per il pericolo di mercificazione a cui l'uomo, esito della creazione divina, è costantemente esposto, di cui la Marilyn di Warhol è divenuta, suo malgrado, l'emblema.
"All of these hairstyles are ephemeral and I want my photographs to be memorable traces of them. I have always wanted to record moments of beauty, moments of knowledge. Art is life. Without art, life would be frozen". La Côte d'Ivoire ottenne l'indipendenza dalla Francia il 7 agosto 1960, il primo ottobre dello stesso anno venne proclamata l'indipendenza dall'Inghilterra della Repubblica Federale della Nigeria, la cui bandiera riportava il motto unità e fede, pace e progresso. Tre anni dopo il fotografo autodidatta J. D. 'Okhai Ojeikere iniziò a lavorare per la West Africa Publicity (1963-75), l'agenzia con cui è nata la pubblicità in Nigeria negli anni del cosiddetto “Indigenisation Decree”, la legge che trasferiva la proprietà delle imprese straniere ai nigeriani, che rispondeva alla necessità della Nigeria di divenire una repubblica moderna e autonoma, così come la promozione di attività culturali e artistiche rispondeva all'esigenza di creare un orgoglio e un'unità nazionali.
Negli stessi anni Ojeikere cominciò a fotografare incessantemente con la sua Rolleiflex le donne nigeriane, componendo un patrimonio unico che oggi conta oltre mille immagini, in cui ha documentato con estremo rigore antropologico le architetture simboliche delle loro acconciature, composte da cupole, torri, linee curve e spazi geometrici da cui nascono ciuffi come germogli. Quando guardiamo un ritratto ci concentriamo inevitabilmente sul potere dello sguardo che si dice sia lo “specchio dell'anima”, ma nelle quattro immagini esposte al Palais de Tokyo della serie Hair style il soggetto ci volta le spalle e ci mostra la perfetta sfericità della testa, che nella simbologia rappresenta “l'ardore del principio attivo”, “l'autorità del governare, dell'ordinare e dell'istruire”, e che Platone definiva un microcosmo paragonabile all'universo.
Nell'unica immagine in cui si scorge, il viso della donna genera uno stato indeterminato tra pensiero e non pensiero, tra attivo e passivo, il suo sguardo sembra perso ma allo stesso tempo pronto all'ascolto, un ritratto-non ritratto che rivela quella dualità dell'immagine che Rancière definisce pensive, che riflette la “pratica esemplarmente ambivalente” della fotografia e del suo “destino singolare” in rapporto all'arte.
Le pratiche artistiche di Bouabré e Ojeikere sono molto diverse ma condividono la necessità di produrre conoscenza attraverso la creazione di un archivio, nei termini in cui Jacques Derrida descrive l'arkhē come “l'inizio”, ossia in senso “fisico, storico o ontologico”, e forse non è un caso che sia stato un curatore nigeriano, Okwui Enwezor, nel 2008 all'International Center of Photography di New York, a concepire Archive Fever: Uses of the Document in Contemporary Art, una delle mostre più importanti mai realizzate sul rapporto degli artisti contemporanei con il documento, in relazione all'identità, alla storia, alla memoria e alla perdita. Al Palais de Tokyo le opere di Bouabré e Ojeikere, allestite su due pareti del corridoio centrale, introducono il visitatore ad un viaggio ancestrale nell'archivio, che culmina nella sala attigua tra le tavole e i filmati della planche 42 di Mnémosyne, l'atlante delle immagini creato da Abi Warburg, esposti nella mostra Nouvelles histoires de fantômes ideata da Georges Didi-Huberman e Arno Gisinger.
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