Se poteste conservare un solo ricordo quale sarebbe? Come sarebbe una società senza memoria? Che conseguenze ha la tecnologia sui ricordi e sul modo di narrarli?
Il palazzo della memoria
L’ambiziosa mostra del Victoria & Albert Museum di Londra, dà vita a una storia multidimensionale, che aggiorna la forma libro e cambia il ruolo di autori, lettori, progettisti grafici e illustratori.
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- Catharine Rossi
- 24 luglio 2013
- Londra
Sono alcune delle domande formulate da Memory Palace, ambiziosa mostra sperimentale del Victoria and Albert Museum di Londra. L’esposizione, sponsorizzata da Sky Arts, è a cura di Laurie Britton-Newell e Ligaya Salazar.
I curatori hanno incaricato lo scrittore Hari Kunzru di scrivere un romanzo breve di 60.000 battute e hanno invitato venti progettisti grafici, illustratori e disegnatori di caratteri di tutto il mondo, tra cui Åbäke, Le Gun, Erik Kessels e Luke Pearson, a ispirarsi a singoli episodi. Lo scopo era creare una storia multidimensionale, materialmente percorribile, che aggiornasse la forma libro nel momento in cui l’editoria digitale ne mette in discussione l’esistenza fisica e cambia il ruolo dell’autore, del lettore, del progettista grafico e dell’illustratore.
Le precedenti opere narrative di Kunzru ruotavano intorno al tema dell’identità degli imperi globali (fossero nazioni oppure aziende) e Memory Palace prosegue su questa strada. Il romanziere londinese presenta un panorama distopico della città tra qualche secolo. Una grande tempesta, la Magnetizzazione, ha cancellato l’infrastruttura dell’informazione in tutto il mondo. È stata seguita dall’Essiccamento, in cui una tirannica classe dirigente (la Cosa) intende distruggere la memoria e ogni mezzo di registrarla – compresi la scrittura, il collezionismo e l’arte – per sostituirla con il Selvaticismo, società senza tecnologia in cui l’uomo vivrà in armonia con la natura.
Combattono questa scelta politica i Memorialisti, gruppo fuorilegge di cui fa parte l’anonimo narratore. Incarcerato per i suoi reati di conservazione dei ricordi, usa la cella per farne un palazzo della memoria, espediente mnemonico che risale alla cultura classica in cui si visualizza un edificio i cui contenuti immaginari richiamano alla mente i ricordi. Il visitatore ha il compito di mettere insieme i pezzi di questo complesso racconto attraverso la combinazione delle parole e delle immagini che costituiscono la mostra. Le prime consistono in citazioni del testo, scritte in grande sulle pareti delle sale in rugginose lettere di rame ispirate a William Morris, create dallo studio di Sara De Bondt.
Accanto ci sono le risposte degli artisti e dei grafici, volutamente organizzate in modo meno lineare e più aperto di quanto non consenta un libro tradizionale. I professionisti selezionati provengono da settori come la pubblicità, il graphic novel e l’illustrazione editoriale. Le opere sono di dimensione, scala e linguaggio variabili, che comprendono il film, la ceramica e l’acquarello riuniti per descrivere, reinterpretare e ampliare le parole di Kunzru. Nella prima sezione c’è una stampa su acrilico dell’illustratore francese Némo Tral che imita le vetrate legate in piombo: un trittico sulla Londra post-Magnetizzazione che mostra l’Olympic Park e lo Shard in forma di rovine.
L’illustratore Frank Laws ha raffigurato il carcere, una cella dalle alte pareti su cui il narratore crea il suo palazzo della memoria. Sempre in questa sezione c’è il collettivo di progettazione grafica londinese Åbäke, la cui Wunderkammer comprende reliquie della passata “truccologia” (tecnologia), le cui funzioni sono cadute nell’oblio da lungo tempo: una riflessione sul valore del collezionismo che ben si inserisce nel contesto del museo.
La seconda sala continua sullo stesso tema dell’oblio e del fraintendimento del passato. Il tono religioso della stampa di Tral viene ripreso dall’altare medievaleggiante di Stuart Kolakovic, dedicato a scienziati da tempo scomparsi come “la signora Ayn Stein, autrice della teoria della relatività”.
Accanto si trova una delle opere più grandi e più impressionanti della mostra; un’“ambulanza” multimediale trainata da volpi creata dal collettivo di illustratori Le Gun, il cui guaritore-sciamano, somministratore di rimedi miracolosi, funge da apologo ammonitorio sull’attuale smantellamento del Servizio sanitario nazionale britannico. Come accade per altre narrazioni distopiche, tra cui 1984 di George Orwell (qui variamente citato), Memory Palace usa uno scenario futuro per parlare del presente. È un crudo ritratto della società dopo la catastrofe che riguarda aspetti di costume sociale contemporaneo: che sia la nostra reverenza per il riciclo, come nel palazzo di giornali di Erik Kessels, oppure l’asservimento alla tecnologia digitale: dipendenza che Johnny Kelly mette in scena nella sua Banca della Memoria, pezzo finale della mostra, che permette al visitatore di scegliere un unico ricordo da conservare.
L’allestimento non è sempre felice: non mi pare che sia vissuto dal pubblico in modo tanto immersivo quanto la solitaria lettura di un libro, e il suggerimento che il visitatore può liberamente fruire del racconto nell’ordine che preferisce è reso vano dalla sua natura lineare. La complessità del racconto e il suo continuo oscillare dalla parola all’immagine implica un’esperienza ardua, ma ne vale la pena: il racconto di Kunzru è un’allegoria che stimola la riflessione e dimostra l’importanza del raccontare, quale ne sia il linguaggio. L’intreccio di linguaggi differenti è l’elemento più felice della mostra, cui Memory Palace aggiunge una ricchezza sensoriale assente dalla maggior parte dei romanzi, illustrando la vitalità del progetto grafico e dell’illustrazione, aree creative che fin troppo raramente costituiscono il tema di mostre, al Victoria and Albert come altrove.