I colori azzurro pastello delle stanze e i forni ancora visibili dell'ex caserma militare di via Vincenzo Monti, dove dalla fine dell'800 veniva prodotto il pane per tutte le caserme della Lombardia, sono lo scenario quasi ideale della mostra personale (organizzata dalla Fondazione Trussardi e curata da Massimiliano Gioni) di Cyprien Gaillard, un artista che, attraverso i fatti della storia e le architetture del passato, restituisce una lettura del presente.
La sua ricerca si muove fra la tensione e il disagio di un secolo – il nostro – che si è aperto con il crollo delle Twin Towers e continua a mostrare i propri segni di cedimento, a partire dalle sue fondamenta. Archeologie industriali, pezzi di città in declino e memorie seppellite sotto le macerie di un fallimento ideologico rappresentano la scena di un passato recente che contribuisce a modificare e trasformare quella attuale. Non è dunque solo una questione di tempo o di successione cronologica del tempo. Il passato ritorna nel presente attraverso le sue manifestazioni più incoerenti di demolizione, conservazione, preservazione e ricostruzione. Il lavoro di Gaillard ci permette di tracciare una mappa dell'attualità che ingloba una forma di "vandalismo espanso": dagli esperimenti più chiaramente anti istituzionali, a quelli di discutibile attrazione dettati dall'alto da politiche di riqualificazione e riassetto urbano.
Rubble and revelation
Le stanze azzurro pastello e i forni ancora visibili di un'ex caserma militare sono lo scenario quasi ideale della personale di Cyprien Gaillard, un artista che, attraverso i fatti della storia e le architetture del passato, restituisce una lettura del presente.
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- Martina Angelotti
- 28 novembre 2012
- Milano
Gaillard tenta la strada di un equilibrio dei contrasti, suggerito anche dall'utilizzo di certi media di facile suggestione visiva, come proiettori in 35 mm, polaroid e stampe in bianco e nero. Mezzi che volgono spesso verso un'idea di "musealizzazione" della storia, come i monumentali tavoli in vetro che contengono la serie dei collage di polaroid Geographical Analogies (2006-2011) presentati come icone di reperti archeologici. Ma c'è sempre qualcosa d'imprevisto nell'apparente "congelamento" delle rovine, avvenga esso per mezzo di un'immagine, di una performance o di un video. Questo aspetto è reso principalmente dalla duplice dimensione di attesa e accadimento: Pruitt-Igoe Falls, un video del 2008 che in mostra anticipa la sala dei collage, dapprima si manifesta nella propria fierezza di edificio eretto in mezzo a un antico cimitero scozzese, un attimo dopo implode in una nube di polvere che, a poco a poco, si fa cascata. Così come nella sequenza di Real Remnants of Fictive Wars V del 2004, ultimo di una serie di cinque film girati in 35 mm, dove una lentissima carrellata svela la solennità di un paesaggio, interrotta all'improvviso per effetto di un estintore industriale che genera una nuvola di fumo, mischiando così i confini della visione d'insieme e rivelando anche un indomabile aspetto della natura. Quel momento di entropia a cui ricorrono tanto Robert Smithson quanto molta letteratura postmoderna già a partire da Thomas Pinchon, come forma di evoluzione irreversibile allo scopo di riconsiderare anche il valore semantico di certi termini come scarti, rovine, residui archeologici, luoghi abbandonati e usurati.
E se da un lato la violenza dell'immagine di Cipryen Gaillard è mutuata da una forte componente romantica, tratta da molta pittura ottocentesca, dall'altro rivela anche la sua indole d'ineluttabilità, come nel caso ancor più enigmatico di The Lake Arches, un "ritratto con rovine" in cui due giovani adolescenti, sono ripresi mentre stanno per tuffarsi nelle acque di un lago artificiale che da lì a poco rivela la sua trappola. Un fondale duro e troppo basso dal quale, uno dei due ragazzi riemerge mostrando il naso ferito e sanguinante. L'impatto col cemento di una generazione figlia dell'epoca dei crolli, si consuma alla presenza inerme e quasi umanizzata del progetto architettonico di Ricardo Bofill che, da sintesi di tutte le istanze postmoderne, manifesta qui la propria obsolescenza. È forse questo aspetto di bizzarre mescolanze, di vitalità pop a emergere poco dal complesso della mostra. Gaillard non è solo l'artista delle rovine e delle geografie del passato. È anche la risposta a una lucida visione contemporanea, antinostalgica. E questo gli permette di passare, per esempio, dalla piramide egiziana, tomba sacra dei faraoni, alla piramide composta da 72.000 bottiglie di birra turca Efes, meravigliosa sintesi del monumento contemporaneo.
Penso che il motivo per cui amiamo così tanto le rovine è che sono la testimonianza della nostra sopravvivenza; ce l'abbiamo fatta, capisci? Sono in declino, ma noi siamo sopravvissuti. Io sono qui ed è grandioso, e questo molti edifici moderni non ce lo dicono. Non ci dicono dove ci troviamo. (Cyprien Gaillard intervistato da Susanne Pfeffer)
Sono le "estetiche della resistenza": gang di hooligan rissosi di fronte a prefabbricati di città russe, turisti americani ubriachi in primo piano sulle immagini di resort futuristici costruiti accanto alle rovine Maya nel cuore di Cancùn o ancora militari in divisa che sfilano fra i resti dell'antico mito della "prima città" Babilonia e l'eredità lasciata dalla guerra in Iraq. Se questo non ci basta ad avviare una riflessione sul futuro e ciò che ci mette in relazione coi suoi tempi e i suoi spazi, proviamo a considerare che per Gaillard diventa importante anche il fatto di riconoscersi come parte sociale. La sua è un'indagine che si consuma qui e ora, che aderisce all'attualità senza prescinderne e che – attraverso il cio che è stato – suggerisce prospettive e visioni su ciò che è.
Fino al 16 dicembre 2012
Cyprien Gaillard: Rubble and revelation
Caserma XXIIV Maggio
via Vincenzo Monti 59, Milano