Nel 1984 si tenne alla Galleria civica d'arte moderna di Bologna una mostra destinata a fare storia, "Arte di frontiera: New York graffiti", voluta da Francesca Alinovi. La studiosa, tragicamente scomparsa l'anno prima della mostra, aveva vissuto negli Stati Uniti l'emergere di una scena radicata nelle viscere della metropoli americana. Keith Haring e Jean Basquiat, tra gli altri, arrivarono in Italia per la prima volta sotto l'egida della sua riflessione critica. Promosso dal Comune di Bologna, curato da Fabiola Naldi e da Claudio Musso, il progetto "Frontier. La linea dello stile" si pone su una linea di continuità con le ricerche dell'Alinovi, con lo scopo di leggere l'evoluzione del writing e della street art dopo la scuola newyorkese.
"Frontier" è, però, un progetto open air: tredici autori internazionali sono stati chiamati a confrontarsi, a partire da giugno 2012, con altrettanti muri di grandi dimensioni appartenenti a stabili di edilizia residenziale pubblica, in quattro quartieri semi periferici di Bologna. La mappa curatoriale rivela nomi storici, come il padre del writing Phase2 (New York, 1958), che s'intrecciano con autori appartenenti alle generazioni emerse alla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta (gli italiani Andreco, Cuoghi e Corsello, Dado, Eron, Etnik, Hitnes, Joys, Rusty, il tedesco Daim, l'olandese Does, il francese Honet e il polacco M-City).
Frontier. La linea dello stile
Street artists e writers nella città che per prima portò i graffiti all'attenzione del pubblico italiano. Un progetto di riqualificazione urbana sostenuto dal comune e condiviso con gli abitanti.
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- Alessandra Pioselli
- 03 agosto 2012
- Bologna
Sono stati invitati artisti considerati "rappresentativi di componenti stilistiche innovative e fondamentali per l'evoluzione artistica" del writing e della street art, come spiegano i curatori nel comunicato, con una particolare attenzione alle esperienze italiane più significative. I bolognesi Cuoghi e Corsello, venticinque anni di lavoro riferimento per tante generazioni, hanno dedicato il murales con l'icona graffiante di Cane Cotto ai ragazzi del quartiere Porto, dove hanno operato. Alla stilizzazione segnica della coppia fanno da contraltare altre possibilità figurative: l'illustrazione naturalistica di Hitnes, le illusioni ottiche di Eron, che scolpisce bassorilievi con lo spray da virtuoso delle luci e delle ombre, il fumetto allegorico di Honet, la cifra simbolico rituale di Andreco.
La città contemporanea si scompone geometricamente nella sintesi prospettica di Etnik e nelle composizioni assonometriche di M-City. Sul fronte del writing, Rusty è tra i primi che lo hanno diffuso a Bologna alla fine degli anni Ottanta, mentre Does rappresenta l'attuale espansione della disciplina. Daim è il maestro riconosciuto del 3D. Volumi plastici e ombre scolpite regalano alle lettere decostruite l'illusione spiazzante della tridimensionalità. La ricerca in 3D nel writing informa anche il lavoro di Dado e di Joys.Frontier, dunque, è un percorso permanente nello spazio urbano, che riposiziona il ruolo di Bologna come città al centro della sperimentazione nel campo del writing, e della street art. Con questo progetto, tali pratiche ricevono una particolare visibilità istituzionale. Se il sistema dell'arte le ha spesso considerate solo in termini commerciali, portando in galleria (con la complicità degli artisti) le copie di una progettualità destinata a vivere nello spazio della città, Frontier ha l'obiettivo di ricollocarle sul piano culturale, proponendo un progetto che si distanzia dal format del festival per giovani dentro cui spesso sono relegate dalle pubbliche amministrazioni. Sostenendo il progetto, il Comune di Bologna ha riconosciuto il peso culturale che questo tipo di progettualità può avere nel contesto della riqualificazione urbana. Oltre il caso specifico, le ambiguità del matrimonio sono dietro l'angolo: qualsiasi forma d'arte nello spazio urbano può prestarsi a strumentalizzazioni, offrendo la spalla a operazioni di restyling.
Daniel Buren una volta ha affermato che il colore è una forma di resistenza politica, che l'arte può risollevare un paesaggio periferico, a patto che non la si utilizzi per nascondere un disastro. Il caso di "Frontier" va nella direzione di una positiva riqualificazione
È una questione dibattuta. In un'intervista a Naldi e Musso si chiede loro se non si rischi di concepire i murales come mera decorazione, arredo urbano. Daniel Buren una volta ha affermato che "il colore è una forma di resistenza politica", dichiarando nella stessa intervista che "l'arte può risollevare un paesaggio periferico, a patto che non la si utilizzi per nascondere un disastro" (Corriere del Mezzogiorno, 17 settembre 2008). Il problema non è se l'opera abbia qualità decorative, ma quale funzione possa avere in un contesto urbano specifico.
È una questione di etica della responsabilità, che riguarda curatori, artisti, amministratori. Anche un'immagine ornamentale può avere una funzione che non è meramente decorativa. In ogni caso, c'è una forma di partecipazione, di identificazione anche emotiva e affettiva nei luoghi, trasmessa attraverso le qualità visive e formali dello spazio, che sono anch'esse presupposto di qualità urbana. Le facciate dei palazzi su cui sono stati realizzati i murales a Bologna sono state restaurate, ma non è questo il punto.
Frontier ha voluto provare a riscrivere il rapporto tra centro e periferia, dirottando l'attenzione dei bolognesi verso i quartieri al di fuori del centro storico, creando un circuito culturale e turistico alternativo che potesse essere da qui in poi un veicolo per una trasformazione della percezione che gli abitanti dei quartieri interessati e i cittadini hanno di questi luoghi lontani da quelli considerati i centri focali della città.
È importante dire che Frontier, svolgendosi attraverso un dialogo con il territorio, ha avuto il sostegno dei presidenti di quartiere, già impegnati nel tentativo di dare a queste zone nuova identità e allineati nella ferma convinzione che la cultura abbia un ruolo fondamentale nel processo. Il sostegno a iniziative come i trekking urbani e l'inserimento nella comunicazione turistica dimostrano l'impegno del Comune di Bologna a creare un circuito stabile attorno al progetto. Anche se difficilmente valutabili, tra i benefici dell'arte nello spazio pubblico vi è, senza dubbio, la possibilità di modificare la percezione di un luogo o di migliorare le interazioni sociali, rendendo più permeabili i confini.