La bellezza e l'efficacia delle grammatiche visive di Daniel Buren hanno un fascino molto popolare, meravigliosamente intuitivo, che spesso trascende il primo livello di comprensione. Non è solamente il suo motivo-signature di strisce verticali della stessa larghezza, ossessivamente ripetuto, con cui l'artista francese ha lavorato per decenni, ma soprattutto i parametri della sua estetica minimalista che fin dagli anni '60, si è trasformata in un potente utensile concettuale, che ha investito programmaticamente la sua produzione visiva e testuale. Con estrema coerenza, Buren ha utilizzato e applicato questa semplificazione di dispositivi a un gran numero di lavori site-specific che hanno fatto storia. Ed è senza nessun problema che si è assunto l'aggettivo decorativo, quando le qualità intrinseche del lavoro, che è concettuale e spaziale, riscrivevano proporzioni, fruizione di spazi e non andavano necessariamente in questa direzione, senza mai associare all'aggettivo dunque alcuna nozione negativa. "L'arte non ha mai cessato di preoccuparsi del decorativo", ha dichiarato.
Le sue strisce, di tessuto prima e di differente prodotto industriale poi, si sono declinate in un grande numero di colori e materiali: vetro, pietra ecc. E hanno abbandonato il terreno del puro statement per approdare a una ridefinizione dello spazio pubblico o privato.
Nella sua nuova opera monumentale in mostra a Parigi, questo esercizio di estremo rigore si stempera sulle proporzioni magniloquenti del Grand Palais del quale investe la grande nave centrale, cominciando a rivelare troppi ed evidenti segni di stanchezza. L'economia di mezzi, a formula numerica diviene sterile e persino il riflesso (la riflessione speculare dello spazio) è un dispositivo visivo troppo semplice. Ora il catalogo, o meglio la palette di tutte le operazioni con le quali ha trasformato e ridisegnato altri spazi con indiscutibile successo, non operano qui la stessa prodigiosa mise en abîme.
Daniel Buren: Excentrique(s)
La nuova immensa opera che Daniel Buren ha realizzato per Monumenta 2012 è un arcipelago di sensazioni colorate, che si stempera sulle proporzioni magniloquenti del Grand Palais e si scontra direttamente con le qualità iconiche del luogo.
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- Ivo Bonacorsi
- 16 maggio 2012
- Parigi
Non è solo che questo spazio è diventato culturalmente difficile, ma anche che in questo mastodonte nel centro della città si stratificano le logiche dell'evenemenziale da oltre un secolo. Era nato come un tempio-scaffale di una religione del progresso e probabilmente l'operazione che Daniel Buren tenta in questo edificio è filosoficamente persino troppo sofisticata. Il vero successo della processualità di Buren è che ne fa collassare i contorni, e anche la retorica di una manifestazione come Monumenta, giunta alla sua quinta edizione. Nella banalità inconscia di questo display si rivela oramai come uno sterminato e vuoto parco archeologico, dove pubblico e artisti–dinosauro, rischiano di non incontrarsi.
Su questo esercizio di stile in grande formato, sono già naufragati tutti i maestri del genere. La poesia di Anselm Kiefer ha dovuto inventarsi una protoarchitettura-contenitore, Richard Serra dei mezzi da illusionista e al contrario Christian Boltansky ha dovuto regalare l'accessibilità e piacevolezza alla fruizione del suo lavoro. Un artista ben più complicato e meno digeribile come Anish Kapoor aveva puntato manifestamente all'ingestione dello spettatore. Ora Daniel Buren, conscio della trappola, ha fatto tesoro dei suoi lavori in situ splendidi e fruibilissimi. Quello nella corte d'onore del Palais Royal a Parigi ne è un esempio e ha deciso di scontrarsi direttamente con le qualità iconiche del luogo. In spazi altrettanto difficili, aveva recuperato la radicalità delle sue proposte come quando aveva dialogato con l'aggressiva del moderno nella rampa del Guggenheim Museum di New York negli anni '70, lavoro poi ritirato.
In questo opus che si dispiega su 3.000 mq nel tentativo di cancellare la monumentalità del luogo ha disseminato edicole sormontate da cerchi di colore. Reminescenze delle cabane eclatées, in 4 colori precisi e solo quelli che si potevano reperire nel fogli di gelatina industriale. Le strutture verticali riprendono la grandezza e le proporzioni delle sue bande e tentano di ritrovare l'orizzontalità di questo volume da cattedrale, ribassandolo con un mare di cerchi tangenziali che si susseguono nello spazio. Con la complicità del suo storico collaboratore Patrick Bouchain, Daniel Buren ha disegnato un dispositivo architettonico complesso. Un imprevedibile collasso dell'enorme vetrata del Grand Palais all'altezza del soffitto borghese delle abitazioni haussmanniane. Un gioco di prestigio, anche se lo spazio disegnato sulla carta ha un effetto diverso e non corrisponde alla sua deambulazione. La tentazione del grande vuoto è annullata a un effetto di distribuzione colore quasi da mosaico bizantino o da vecchio programma Photoshop. In un'intervista alla vigilia dell'apertura Daniel Buren ha spiegato così le ragioni per le quali aveva rinunciato a utilizzare il monumentale ingresso del Grand Palais: "È pesante, scuro e magniloquente in due parole accademico e pompier", preferendogli invece una più discreta entrata nord che immerge direttamente lo spettatore nell'all-over creato dall'artista.
La riflessione sul monumentale a 360° cerca dunque un rapporto di armonia con lo spazio fisico e concettuale, che sovraccarica facendolo percorrere da un mormorio sonoro che in diverse lingue, che lambiscono come un'onda lo spettatore. È un percorso longitudinale quello che si crea, un arcipelago di sensazioni colorate o un insieme di isole cromatiche. A seconda dell'apporto luminoso, che verrà dispensato dalla capricciosa primavera parigina, la percezione del luogo varierà costantemente. La sensazione è quella di un fastidioso pointillisme su scala macroscopica come percorrere con una lente d'ingrandimento la superficie di un quadro di Seurat. Come forse una noiosa domenica di struscio alla Grand Jatte.
Fino al 21 giugno 2012
Daniel Buren: Monumenta 2012
Grand Palais, Porte Nord
Avenue du Général Eisenhower, Paris