Attraverso gli ultimi decenni, la rigenerazione di ampie parti di città ha occupato il primo posto nel discorso su architetura e urbanistica, col moltiplicarsi di casi dove si è riscritto il destino di spazi industriali e di aree dismesse, trasformandoli in nuovi poli di cultura, arte e interazione sociale. In Europa, specificamente, si sono moltiplicati i casi in cui a trainare processi di rigenerazione è stato un singolo progetto, divenuto spesso simbolo di un luogo o di una storia.
“Le città” d’altronde, “sono la più grande creazione dell’umanità”, diceva Richard Rogers, e da Amburgo a Lisbona, le città europee si stanno reinventando, non solo come centri di innovazione architettonica, ma anche come luoghi dove il vecchio e il nuovo si fondono coesistendo per generare nuovi significati e funzioni, trasformando in profondo anche il modo in cui viviamo gli spazi pubblici.
La sfida oggi, a valle di quasi mezzo secolo di rigenerazioni, principalmente su aree post-industriali, è diventata non solo quella di recuperare spazi abbandonati, ma quella di renderli vivi, inclusivi, capaci di accogliere la diversità e l’imprevedibilità delle interazioni umane. Non un semplice atto edilizio, ma una forma di narrazione culturale, che plasma la memoria collettiva e il futuro delle città.
Abbiamo selezionato allora alcuni tra gli esempi più emblematici di rigenerazione urbana in Europa. Tra l’ “effetto Bilbao” del Guggenheim Museum di Gehry, l’habitat del Tietgenkollegiet a Copenhagen, Herzog & de Meuron ad Amburgo e Londra, Renzo Piano e OMA, Torino, Anversa e Tirana, prendiamo a prestito le parole del sociologo americano Richard Sennett e riscopriamo che “l’architettura non è solo la costruzione di spazi fisici, ma è il tessuto sociale che ne deriva”.