“Le immagini delle riviste hanno spesso restituito un’immagine eroica delle case costruite da Siza e da altri. In realtà di tratta di povere case, di piccoli interventi dove la bravura dell’architetto sta nell’aver saputo lavorare con poco, dove anche le rovine e la desolazione del luogo, un muro, la terra diventano materiali su cui si costruisce il progetto (…) V’è come una sensibilità acuta per le tracce e le materie, i depositi del tempo e degli eventi, le forme del suolo, gli incidenti della natura e della storia” Così Daniele Vitale parla di Álvaro Siza in quello che è il suo debutto sulle pagine di Domus, sul numero 655, nell’ottobre del 1984.
Nato nel 1933 a Matosinhos, dove già in giovane età, sugli scogli della Leça da Palmeira, realizzerà il memorabile ristorante Boa Nova e le Piscine delle Maree, Álvaro Joaquim de Melo Siza Vieira è uno dei protagonisti della cosiddetta Scuola di Porto, anello di congiunzione tra la riflessione teorica di Fernando Távora e il pragmatismo colto di Eduardo Souto de Moura. E proprio questi due filamenti generano la doppia elica del Dna della sua opera, che si nutre di un’imperitura passione per gli aspetti scultorei del volume, spesso ottenuto per sottrazione di materia o tensione plastica del gesto. Al talento si affianca sempre anche la raffinatissima sensibilità verso le contingenze del contesto in cui le sue architetture armoniosamente si inseriscono, oscillando tra l’esaltazione delle tracce del suolo, il rispetto dei livelli altimetrici, o il coraggioso confronto con il linguaggio dei corpi vicini. Questo accentuato contestualismo è però permeabile alle innovazioni contemporanee, aspetto che spinge Kenneth Frampton ad indicare Siza come uno dei più acuti fautori del regionalismo critico, il filone architettonico che faceva reagire i dettami del Moderno al radicamento locale e alla memoria tipologica.
Ha già trent’anni di carriera professionale alle spalle quando nel 1984 Domus pubblica il suo primo progetto, la Banca Borges & Irmao a Vila do Conde all’interno di un servizio sull’architettura portoghese. La banca si costruisce per differenza con un volume puro che entra in risonanza con la vicina chiesa, l’acquedotto e il monastero. Passano pochi anni e Siza realizza il padiglione Carlos Ramon, primo tassello della nuova Facoltà di Architettura dell’Università di Porto. Francesco Venezia, in dialogo con Siza attraverso schizzi e annotazioni grafiche (Domus 679, gennaio 1987), introduce il padiglione come “un eroico scontro tra un’idea di imposizione e una realtà già formata che vi si oppone e vi resiste”. Escono i temi cari alla scuola portoghese, come il sistema di relazioni morfologiche impresse nel suolo che determinano le sequenze di accesso, muretti, pergolati, pavimenti, così come un tratto più siziano: quello del processo compositivo per sottrazione e della scatola mutilata con dei tagli. Nel giro di 8 anni, la sua Facoltà di Architettura farà capolino sulle sponde del Douro con le sue “quattro imponenti figure totemiche che scrutano e controllano il territorio” (Luca Gazzaniga, Domus 770, aprile 1995).
Alvaro Siza, architetto che interviene con delicatezza sulla realtà (e che talvolta riesce quasi a non intervenire).
Francesco Venezia in Domus 679, gennaio 1987
Non vi è dubbio che tra i lavori che hanno determinato il riconoscimento professionale e il successo mediatico, un ruolo chiave lo svolga il progetto di risistemazione dell’area del Chiado a Lisbona. In seguito all’incendio che nell’agosto 1988 devasta tre isolati del Chiado di Lisbona, Siza è incaricato di elaborare un progetto di recupero. La proposta è esemplare per il modo con cui affronta il rapporto fra permanenze storiche e nuova edificazione, nel modo di leggere la città in tutte le sue sfumate complessità. Domus ne parla nel numero 714, marzo 1990, e 1005, settembre 2016, portando lo schizzo di Siza in copertina, tanto è l’appeal suscitato dal tema.
Il 1992 è l’anno della consacrazione: Siza vince il Premio Pritzker diventando uno dei capisaldi dell’architettura contemporanea a livello globale. Si allarga il suo campo d’azione, abbracciando temi progettuali e geografie non ancora esplorate. Sperimenta così l’architettura sacra (Domus 802, marzo 1998; Domus 813, marzo 1999 e Domus 1023, aprile 2018) e l’architettura effimera, con il Serpentine Gallery Pavilion (Domus 884, settembre 2005), senza mai rinunciare al tema della casa, un filone che porta avanti dalle prime esperienze di social housing degli anni ’70. Più tardi, le sue ville, sia quando inserite in paesaggi naturalistici a Sintra (Domus 913, aprile 2008) sia nei familiari paesaggi urbani di Porto (Domus 974, novembre 2013) testimoniano ancora una volta la grande sensibilità alle peculiarità del contesto.
La topografia è sempre stata il suo punto di partenza. L’arte più profonda, per lui, è quella della mano del disegnatore che si muove sulla superficie del foglio; in altre parole, il presagire con l’occhio della mente dell'architetto l'inafferrabile essenza di ciò che il luogo desidera essere.
Kenneth Frampton, Domus 913, aprile 2008
Oltre alla passione per la scultura, Siza è stato un instancabile disegnatore. I suoi schizzi vengono spesso estratti dal flusso creativo a cui appartengono per diventare feticcio, simulacro del fenomeno progettuale innalzato (o ridotto) a arte (o merchandise) per se. La migrazione dal faticoso atto architettonico ad una più leggera dimensione artistica è stata sostenuta anche da Domus per la realizzazione delle copertine dei numeri 714, marzo 1990, e 974, novembre 2013.
Il contestualismo di Siza si confronta con luoghi molto diversi. Domus ha raccolto tre esperienze in Olanda, Domus 696, luglio 1988, Domus 705, maggio 1989 e Domus 853, novembre 2002; dove affronta rispettivamente il tema della rigenerazione dell’isolato urbano, della residenza associata a esercizi commerciali, e del landmark urbano. Nell’introdurre il complicato progetto per due residenze con relativo spazio commerciale a L’Aia (Domus 705), Umberto Barbieri parla di Siza come di “una presenza che insiste sulla manualità dell’architettura, sulla sua dimensione sociale e, last but not least, su un’interpretazione personalizzata, quasi da artista, del linguaggio moderno che viene elaborato collagisticamente e nel contempo contaminato con elementi ‘dialettali’ e aspetti del ‘sito’”. Vi è poi anche un Siza cinese che realizza una sede uffici sull’acqua per un’azienda del dragone (Domus 988, febbraio 2015) e il MoAe-Huamao, Museum of Art Education a Ningbo, progetti dove torna a dominare la sua sensibilità scultorea.
Ho sempre usato il disegno nel mio lavoro. All’inizio degli anni Cinquanta ebbi occasione di leggere un bellissimo testo in cui Alvar Aalto parlava di quanto fosse importante per il suo lavoro. A volte, il disegno non era legato a una proposta specifica, ma serviva per riesaminare lo sviluppo di un progetto che era stato bloccato. Questa relazione tra la mano e la mente è molto importante.
Alvaro Siza, Domus 1049, settembre 2020
A settembre 2022 (Domus 1071) Peter Testa raccoglie gli schizzi di Siza per il progetto di Villa Getty, illustrando come “tramite gesti di anticipazione e memoria su taccuini in formato A4, l'architetto portoghese affina i suoi progetti. Un metodo di lavoro peculiare che illustra principi della sua architettura”. E un’altra occasione per affermare quanto quella schizzata di getto, spesso su supporti fortunosi e sfuggita alle fauci dei tritacarte, sia una componente indelebile dell’opera siziana.