“Piccoli santuari di pace e dignità”: così il regista Wim Wenders definisce i bagni pubblici di Tokyo, protagonisti inattesi e sorprendenti del suo ultimo film Perfect Days, premiato all’ultimo Festival di Cannes. Più che gabinetti, sembrano dei templi: non semplici servizi igienico-sanitari ma meraviglie architettoniche che danno forma e sostanza alla cultura giapponese dell’accoglienza.
Tutto nasce con il progetto The Tokyo Toilet (Ttt): lanciato nel 2020 in concomitanza con le Olimpiadi e completato nel marzo 2023, si propone di combattere le 4K, cioè la percezione collettiva assai diffusa secondo cui i bagni pubblici di Tokyo venivano ritenuti sporchi (kitanai), puzzolenti (kusai), bui (kurai) e spaventosi (kowai). Per contrastare e cambiare questa pessima reputazione, l’organizzazione no-profit The Nippon Foundation, in coordinamento con la città-quartiere di Shibuya, ha incaricato 16 nomi di spicco dell’architettura e del design contemporaneo, tra cui alcuni vincitori del Premio Pritzker, di creare 17 bagni pubblici: quelli, appunto, che si vedono nel film di Wenders.
In un primo momento al regista di memorabili film sullo spazio urbano come Il cielo sopra Berlino, Lisbon Story o Alice nelle città era stato chiesto di realizzare tre o quattro cortometraggi di stampo documentaristico su alcuni dei bagni del progetto. Ma Wenders, convinto che i luoghi siano protetti meglio ed emergano con più forza se inseriti in un contesto narrativo, ha controproposto di fare dei bagni le tappe o le stazioni di una narrazione.
Più che gabinetti, sembrano dei templi: non semplici servizi igienico-sanitari ma meraviglie architettoniche che danno forma e sostanza alla cultura giapponese dell’accoglienza.
Così, con l’aiuto di un attore straordinario come Koji Yakusho (Palma d’oro a Cannes per la miglior interpretazione maschile), ha inventato il personaggio di Hirayama: un uomo semplice e profondo, colto (legge Faulkner e la Highsmith) e sensibile, che di professione ha scelto di pulire i bagni pubblici. Tutte le mattine si alza, ripiega con cura il suo futon, si aggiusta i baffi, indossa la sua elegante tuta azzurra (disegnata da Nigo, direttore artistico di Kenzo) con stampato sulla schiena, in bianco e in bold, The Tokyo Toilet, fissa alla cintura con due doppi moschettoni tutte le chiavi di cui avrà bisogno durante la giornata, si mette alla guida del suo furgoncino, fa partire un’audiocassetta con brani cult della storia del rock (dagli Animals a Van Morrison a Nina Simone, fino al grande Lou Reed e i Velvet Underground) e inizia il suo giro per i bagni della città.
Il primo a essere visitato è il bagno di Fumihiko Maki, un’ariosa struttura bianca collocata in un parco giochi noto come Octopus Park per la forma del suo scivolo. In linea con il tema dei molluschi, Maki ha creato un tetto ondulato che secondo molti ricorda un calamaro, ma che può anche essere visto come una vela. Fatto di piccoli corpi principali bianchi e autonomi collegati l’uno all’altro da questa copertura leggerissima, presenta sulla parete di uno dei cubicoli una panca sinuosa, a sua volta bianca, integrata nella struttura: un invito a sedersi, a prendersi del tempo, a meditare.
Hirayama entra in ogni bagno, raccoglie carte e rifiuti, lava e disinfetta tutti i pavimenti, poi passa alla pulizia meticolosa di tutti i sanitari e di tutte le superfici, utilizzando un piccolo specchietto rotondo per individuare e rimuovere anche il minimo residuo di sporco. Quando arriva di corsa un possibile utente, Hirayama interrompe il suo lavoro e si allontana discretamente, aspettando fuori e osservando il tremolio delle foglie.
Il bagno successivo è quello disegnato da Kengo Kuma: una toilette pubblica all’interno del Parco Nabeshima Shoto, progettata per integrarsi con gli alberi e la vegetazione lussureggiante del parco. Invece di creare un unico blocco, Kuma ha suddiviso la struttura in cinque capanne collegate da una passerella a gradini che dà il nome al progetto: A Walk in the Woods. I blocchi sono rivestiti con lamelle di cedro, utilizzate anche per creare i bordi della passerella e delle scale.
Subito dopo Hirayama si reca a Yoyogi-Hachiman, nel bagno disegnato da Toyo Ito. Costruito per sostituire un precedente blocco di servizi igienici in fondo a una rampa di scale che porta al santuario Yoyogi Hachimangu, il progetto restroom di Toyo Ito ruota introno a tre blocchi cilindrici sormontati da altrettanti tetti a cupola sporgenti. La silhouette individua così una forma casual “che ricorda i funghi” che crescono nella foresta che circonda la cappella vicina. “Spero che il bagno pubblico Yoyogi-Hachiman dia alle donne un senso di sicurezza, invitandole ad utilizzarlo anche di notte”, afferma l’archistar.
È quindi la volta del sorprendente bagno a Haru-no-Ogawa Community Park di Shigeru Ban: realizzato con pareti di vetro colorato trasparente, permette a chi si avvicina di verificare facilmente se è occupato o meno. Ma la trasparenza della struttura è stata scelta anche per consentire all’utente di verificare dall’esterno le condizioni igieniche del bagno, evitando di avere all’interno spiacevoli e sgradevoli sorprese. Quando l’utente entra e blocca il bagno, il vetro però diventa opaco impedendo a chi è fuori di vedere. Di notte la struttura illumina il parco come una bellissima lanterna.
In ogni bagno, Hirayama lustra, lucida, pulisce. Lo fa con passione, scrupolo, rigore. Poi, finito il turno, si lava accuratamente in un bagno pubblico, consuma un pasto frugale e si ritira nella sua minuscola abitazione. Ogni giorno gli stessi gesti. Ma la ripetitività non gli pesa, diventa una scelta di vita: quella di accontentarsi di poco, e di godere della poesia delle piccole cose.
Tra gli altri bagni che lo vediamo ripulire nel corso del film c’è quello realizzato a Ebisu Park dallo studio di interior design Wonderwall, che si è ispirato al modello delle antiche kawaya, le capanne preistoriche che venivano usate come servizi igienici nel Giappone di 8-10.000 anni fa. Composto da 15 pareti posizionate “casualmente” e realizzate in cemento marcato ma con una finitura altamente strutturata che strizza l’occhio alla costruzione in legno e terra dei tradizionali kawaya, questo bagno non è neanche un edificio ma una sorta di labirinto che dà accesso a tre diverse aree, che includono servizi igienici maschili e femminili, nonché una cabina unisex con servizi per fasciatoi e utenti disabili.
C’è poi il bagno disegnato da Tadao Ando a Jingu-Dori Park, ispirato a modelli tradizionali dell’architettura giapponese e in particolare al tipo dell’engawa, un portico o veranda coperta che circonda una casa, solitamente affacciata su un cortile. L’architetto ha scelto di utilizzare una struttura circolare avvolta da una parete realizzata con lamelle metalliche verticali, in modo da creare privacy ma anche per lasciar circolare l’aria. L’intera struttura è coperta da un tetto ad angolo che sovrasta il wc per fornire riparo. Qui, dopo una pulizia scrupolosa di sanitari, rubinetteria e getti d’acqua, il protagonista del film osserva e contempla i riflessi dei passanti sul soffitto della copertura, umbratili e colorati, in uno dei momenti di maggior poesia di tutta la storia. Ed è sempre in questo bagno che nell’interstizio di una parete trova un fogliettino color crema colorato su cui uno sconosciuto (o una sconosciuta) ha tracciato una griglia di 9 caselle con al centro una O, come per invitare a giocare a Oxo, invito che Hirayama raccoglierà e proseguirà anche nei giorni successivi.
L’ultimo bagno visitato da Hirayama è quello a Nishihara Itchome Park di Takenosuke Sakakura: chiamato Andon, che significa lanterna, è una struttura luminosa e aperta che di notte illumina il parco circostante. L’edificio contiene tre cubicoli unisex ognuno dei quali è avvolto in vetro smerigliato di colore verde e vi si accede attraverso una porta ugualmente verde sormontata da una piccola tettoia. L’obiettivo è quello di renderlo accogliente e di invitare l’utente a usarlo in modo friendly.
Il film ci ricorda che ogni progetto ha bisogno di essere comunicato e il cinema è uno dei mezzi che meglio sanno dare forma e voce a una narrazione che carichi i luoghi anche di risonanze estetiche e di suggestioni emozionali.
Di bagno in bagno, la vita di Hirayama scorre uguale giorno dopo giorno, come in una sorta di rituale laico che fa dell’igiene (fisica, ma anche mentale e spirituale) un valore simbolico e culturale: Wenders dissemina il film di gesti legati proprio al prendersi cura del corpo e di piccoli dettagli collegati a questo tema: nel ristorante frequentato da Hirayama, ad esempio, l’ingresso è segnato da una minuscola bacheca d’angolo che contiene al suo interno 3 porcellini, uno ha in mano una pala, l’altro è accanto a un cesto di frutta, il terzo è seduto su un wc.
Attraverso il racconto quotidiano di questo viaggio, Wenders riesce non solo a creare un’opera minimalista, delicata e profonda, che ha momenti e accensioni di autentica poesia, ma sa anche farci comprendere l’essenza della cultura giapponese dell’accoglienza, il forte senso del “bene comune” e il rispetto per la città e per gli altri che rendono la vita pubblica in Giappone così diversa rispetto ai comportamenti più diffusi in Occidente.
Il successo che il film sta riscuotendo in tutto il mondo va letto e interpretato con grande interesse: il progetto The Tokyo Toilet è un esempio di rigenerazione urbana che potrebbe essere facilmente ripreso e applicato in tante altre città del mondo, ma il film commissionato a Wim Wenders ci ricorda anche che ogni progetto ha bisogno poi di essere comunicato e il cinema è uno dei mezzi che meglio sanno dare forma e voce a una narrazione che carichi i luoghi anche di risonanze estetiche e di suggestioni emozionali.