Quando lo scrittore e critico musicale Bruno Barilli visitò Belgrado a vent’anni di distanza dalla prima volta, la trovò completamente trasformata con una grigia e monotona periferia. Solo il Danubio, visto dalla cittadella, era rimasto identico, la sua larga striscia “lampeggiava, diventava più lucida e ferma man mano che il gran fiume ingoiava il sole”. La stessa sensazione la avverte Jelena Pančevac, architetto dello studio Office di Bruxelles. Originaria di Novi Sad, ha studiato nella capitale serba e dal 2009 vive tra Parigi e Bruxelles. È molto critica verso le trasformazioni che la città sta conoscendo negli ultimi anni, forse perché la sua posizione politicamente esterna all’Unione Europea ma non certo estranea alla sua cultura le conferisce una posizione privilegiata di confine permeabile. Le nuove grandi torri lungo la Sava, grande affluente del Danubio, aumentano e fanno della riva una promenade sempre più affollata di locali notturni e chioschi. “Credo che la Serbia sia stata lasciata fuori dall’Europa come una grande buco nero – dice Pančevac – anche se non del tutto visto che il processo di adesione all’UE è ancora formalmente in piedi, sebbene con enormi ostacoli come la vicinanza alla Federazione Russa e la questione aperta del Kosovo”.
La nuova Belgrado, tra gentrificazione e nazionalismi
Tra gated community di recente costruzione, nuovi monumenti e una grande area pedonale, sta cambiando velocemente faccia la capitale della Serbia, uno stato geograficamente al crocevia dell’Europa, ma isolato in un limbo geopolitico.
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- Manuel Orazi
- 20 dicembre 2022
“Questa marginalità ha reso possibile che la Serbia diventasse una terra di possibilità per ogni tipo d’investimento cinese, russo, emiratino senza nessuna regolamentazione”, prosegue Pančevac. “È terribile perché ad esempio si edifica liberamente sulle zone verdi, invece tutti questi progetti sono fuori da ogni regolamentazione e non provvedono mai a donare un’infrastruttura pubblica come un ponte o altro”. L’architetto racconta di super ricchi che nessuno conosce che vanno ad abitare in nuove gated community, tutte le aree di espansione come il lungofiume sulla Sava, l’aeroporto, l’ex stazione ferroviaria sono state autorizzate in modo dubbio. A volte apre un bel locale tra i ruderi ferroviari, ma è il meccanismo classico della gentrificazione, la prima ondata che serve solo ai developer. L’ex stazione centrale, chiusa definitivamente nel 2018, è diventata una grande area pedonale di raccordo fra il centro cittadino posto più in alto e il fiume Sava, ma dal 2021 è stato costruito un impressionante monumento a Stefan Nemanja, considerato il primo monarca serbo, opera non casualmente di uno scultore russo, Alexander Rukavishnikov. Il presidente Aleksandar Vucic lo ha definito “la cosa più bella che abbia mai visto”: un monaco armato di spada sospeso sopra un enorme elmo bizantino che ospita una coppa dorata, “mostruosità kitsch” secondo la storica Dubravka Stojanovic. La sua presenza getta ombra sulla bella stazione storica che ora ospita bar e ristoranti.
Di certo la città è piena di giovani, eventi sportivi, concerti e feste anche galleggianti sui battelli fluviali, si sta popolando in silenzio di molti ucraini e anche russi in fuga grazie al fatto che non c’è bisogno di un permesso di soggiorno. Il conflitto ha però riacceso le spinte nazionalistiche, striscioni con scritto “Kosovo is Serbia” sono fissi sotto il Ministero degli Esteri (progettato dall’architetto russo bianco Nikolaj Krasnov nel 1923) e di conseguenza si rinfocola il risentimento antioccidentale per i bombardamenti Nato del 1999. Se il rudere della RTS, la radio-televisione serba, è stato mantenuto inalterato da allora, molti sono stati i progetti di memoriale in un altro edificio della tv che si trova a poca distanza, in un parco dove affaccia il piccolo teatro “Duško Radović” progettato da Ivan Antić fra il 1963 e il 1967. Lungo la strada pedonale principale di Belgrado, Ulica Knez Mihailova (via Principe Mihailo) fino a poco tempo fa erano esposti i progetti degli studenti di architettura per un memoriale alle vittime di quei bombardamenti, a dimostrazione di quanto quella ferita sia ancora aperta.
L’architetto e docente Snežana Vesnić ha presentato di recente il progetto vincitore del suo studio Neoarhitekti al concorso nel 2013 in un convegno al Politecnico di Torino: una struttura cinetica di lame posta sopra un plinto che consentono di regolare l’area – attualmente un parcheggio – senza occluderne la vista. I tempi si sono allungati per un contenzioso sulla proprietà dell’area fra i diversi enti coinvolti, ma il progetto è in divenire e i riferimenti concettuali di Vesnić sono italiani: l’estetica del vuoto di Giangiorgio Pasqualotto e l’estetica delle rovine di Gillo Dorfles. Secondo lo studioso triestino ogni volta che incontriamo una testimonianza architettonica del passato, che sia una piramide Maya o un tempio greco, non possiamo non essere toccati da una nota irrazionale. L’edificio bombardato della RTS è aperto, gli interni sono visibili con ancora i mobili al suo interno come in una sezione architettonica 1:1 e, inevitabilmente, un memoriale è anche un momento di riflessione sulla morte. Secondo Aldo Rossi “Chi ricorda le città d’Europa dopo i bombardamenti dell’ultima guerra ha di fronte a sé l’immagine di quelle case sventrate dove tra le macerie rimanevano ferme le sezioni dei locali familiari con i colori sbiaditi delle tappezzerie, i lavandini sospesi nel vuoto, il groviglio delle canne, la disfatta intimità dei luoghi”.
Queste immagini di distruzione, un tempo frequenti, “restano come l’immagine del destino interrotto del singolo, della sua partecipazione, spesso dolorosa e difficile, al destino della collettività”. Non è un caso che proprio in un viaggio di ritorno da Belgrado nel 1971, Rossi ebbe modo di riflettere sulla morte e sulla sezione anche delle ossa umane – che aveva fratturato in un incidente stradale. Anche se il progetto di Neoarhitekti è lontano figurativamente dall’immaginario rossiano, ne condivide il tema a dimostrazione del fatto che è alla periferia dell’Europa che si custodiscono i suoi problemi più centrali.