“One Museum, two museums” era il motto del progetto presentato al concorso internazionale, vinto nel 2015 dall'architetto portoghese Manuel Aires Mateus con l'ingegnere Rui Furtado per la costruzione della nuova architettura a Losanna che ospita contemporaneamente due musei: il mudac, museo di design e arti applicate e il Photo Elysée.
Una nuova architettura iconica per il mudac di Losanna
Un landmark urbano per Losanna: è il museo disegnato da Aires Mateus, una forma pura ed enigmatica che va a fare il paio con il MCBA di Bairozzi-Veiga, inaugurato nel 2019.
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- Matteo Pirola
- 22 luglio 2022
Nell’idea del masterplan iniziale della Plateforme 10, c’era l’intenzione di fare due concorsi diversi per i due edifici museali da costruire, per rendere ancora più ricco il risultato e l’attrattiva culturale, e così, venendo l’edifico di Aires Mateus dopo quello del MCBA di Barozzi Veiga, temporalmente e spazialmente, l’intento progettuale di completamento dell’isolato, ha voluto realizzare un corpo indipendente, candido, compatto e netto ma permeabile, ben visibile da lontano nella sua chiarezza formale.
Due volumi, una unica forma primaria
Il risultato è un’architettura iconica, un landmark urbano, composto principalmente da un solido regolare (semi)cubico con una planimetria di 42 metri per lato. Intorno a questa forma primaria, pura ed enigmatica, ricomposta da due volumi – uno sospeso e uno incastonato nel terreno – che contengono ampi spazi e che offrono i lati liberi alla prospettiva lunga della piazza e alla linearità della ferrovia, controterra c’è un corpo secondario longilineo e spezzato che cinge il blocco primario e ospita gli uffici dei due musei e ambienti di servizio comune. Sulle coperture piane tra architettura e città ci sono camminamenti pedonali e un giardino pensile con vista privilegiata sul paesaggio e in un angolo seminascosto si trova un altro giardino a corte “segreto”, ipogeo, dove si affaccia la biblioteca e il centro ricerche.
Il blocco isolato che è disegnato con profili ben delineati risulta fessurato su due facce da una incrinatura trasparente e obliqua, e da questa spaccatura orizzontale centrale (una grande e continua vetrata a doppia V allungata) che simbolicamente è una sorta di “grande sorriso” architettonico (come piace immaginarla a Chantal Prod’hom, direttrice del mudac), si accede al suo interno.
Il segno di apertura orizzontale “parafrasa” una finestra a nastro, omaggio forse inconsapevole alla nascita di questa tipologia, inventata da Le Corbusier nel 1923 (e simbolo della nascente Architettura Moderna) proprio a pochissimi chilometri da Losanna, a Vevey, per la Villa Le Lac, progettata per la madre dell’architetto.
Una hall per due musei
L’ingresso a raso tra le due valve sovrapposte conduce a una ampia hall disegnata come scavata, una grotta plastica sotto una volta poligonale complessa e inclinata che poggia sculturalmente a terra: una nuova specie di caverna per la cultura.
Su soli 3 punti portanti – chiamarli pilastri è riduttivo – passano 44 travi che tracciano più di 70 sfaccettature triangolari irregolari, e che sospendono il volume superiore realizzato con più di 1000 tonnellate di cemento armato bianco a vista.
In questo scenografico e spettacolare foyer, i punti di vista sono sempre diversi in un continuo fluire fisico e visivo che mantiene in contatto il dentro e il fuori, il sopra e il sotto, per creare una speciale sensazione spaziale dinamica e di coinvolgimento. Qui si trovano gli spazi di ricezione e accoglienza, una caffetteria, uno shop con libri d’arte e souvenir d’autore oltre a un grande corpo scale centrale, trasversale all’accesso principale, che conduce, salendo o scendendo, a due spazi espositivi che sono di pertinenza dei due musei indipendenti: poiché un museo di fotografia ha bisogno di luce minima e controllata e uno di design di maggiore luminosità naturale e diffusa, sotto, in una “black box” nella penombra perfetta per custodire ed esporre fotografie si trova il nuovo Photo Elysée.
Il museo del design invece si trova sopra, in una “white box” con luce zenitale diffusa e integrata, con l’eccezione di un grande vetrata angolare, un occhio triangolare che inquadra il lago e le alpi.
La fenetre Chantal e i bagni unisex
Questa speciale finestra è già stata ribattezzata “Fenêtre Chantal”, perché voluta dalla direttrice contro l’iniziale intenzione dell’architetto, in quel sano e a volte duro e sempre giusto dibattito che naturalmente deve esserci tra committente e progettista di architettura. Ernesto Nathan Rogers usava dire che una buona committenza è quella cosa con la quale è molto difficile fare architettura, ma senza la quale è impossibile.
Un altro esempio di richiesta diretta, come dettaglio d’uso, che sembra minimo ma è significativo anche per l’architettura, evidentemente suggerito dalla direzione del museo di design e che ben rappresenta la sua visione anticonvenzionale, coraggiosa e propositiva della disciplina nella società contemporanea, è il modo in cui sono stati realizzati le toilettes del museo: non più separati tra i due sessi, ma uniti insieme in un unico ambiente da condividere nel rispetto dei vari generi. Questa condizione apparentemente secondaria nella lettura dell’opera è invece una cosa che immediatamente fa capire al visitatore ospite di essere accolto in un modo nuovo, in un mondo nuovo.
Dal Museo di arti decorative al mudac
Il museo che oggi si rinnova è stato fondato nel 1967 come Museo di arti decorative della città di Losanna e nel 2000 è diventato mudac, trasformato e trasferito in città alta, di fronte alla Cattedrale, in una bella e storica residenza del XVII secolo, Maison Gaudard. Qui, sotto la visionaria direzione della già citata Chantal Prod’Hom, prossima alla meritata pensione (che darà il testimone a una nuova direttrice, italiana ma cosmopolita e con una interessante visione fluida del design), decine di nuove mostre hanno programmaticamente ridefinito il ruolo delle arti applicate indagando le sfaccettature del design contemporaneo.
Fin dalla sua ideazione, il mudac è un museo orientato al presente, ai temi che la società offre. La sua identità è quindi sempre stata e continua a essere in mutazione come si chiede ad una istituzione culturale che si occupa di contemporaneo, seguendo sempre la più florida ramificazione delle linee della pluralità.
Oggi che il museo ha trovato la sua collocazione definitiva in relazione diretta con le altre arti alla Plateforme 10, le parole d’ordine che vogliono essere guida di uno spirito di ricerca sono: audacia, impegno, ambizione, passione, accessibilità e interdisciplinarietà.
Oltre a mostre temporanee che potranno mettere e rimettere in discussione il ruolo del design, il mudac custodisce anche una collezione speciale che prevede un continuo ampliamento. Partendo dal nucleo di migliaia di pezzi di arti applicate dedicate al vetro, alla ceramica, al gioiello e alla grafica, negli anni la collezione si è arricchita con circa 1000 opere di design contemporaneo, spesso pezzi unici di autori emergenti o affermati commissionati e realizzati proprio per le mostre tenute al museo.
E quindi, oggi, nel nuovo museo del design, con una superfice espositiva di circa 1500 metri quadri, su un lato si trova un’ala destinata alla rotazione temporanea della collezione permanente, in un punto di snodo si colloca un’area di cerniera destinata alla mediazione culturale e al centro, come spazio primario alla sommità della scala di accesso, un grande spazio libero e flessibile, destinato alle mostre temporanee.
Per la mostra di apertura e inaugurazione, il tema del “Treno”, comune ai musei della Plateforme 10, è stato interpretato dal mudac con il titolo “Rencontrons-nous à la gare”. Il tema dell’incontro, anche tra discipline, è al centro dell’attenzione. Gli oggetti e le opere esposte in un allestimento progettato in collaborazione con la scuola di design HEAD – Genève, dialogano in un contesto narrativo ai limiti del letterario, idealmente ambientato in un “roman de gare” (Terre-des-Fins, Editions ZOE), commissionato per l’occasione e scritto a sei mani da tre giovani autori – Bruno Pellegrino, Aude Seigne e Daniel Vuataz.
Infine, laterale ma non minore, si trova una prima mostra temporanea legata alla collezione permanente, dal titolo significativo e attualissimo “Écouter la Terre”, dove si è voluto esporre opere e oggetti che parlano, dopo aver ascoltato la terra, di come il design possa occuparsi di sfide climatiche per una nuova coscienza ambientale.
Immagine in apertura: Edificio mudac e Photo Elysée alla Plateforme 10 Foto © Matthieu Gafsou