È del designer, e del progettista in senso allargato, l’attitudine a considerare la condizione oggettiva dell’azione progettuale come una opportunità di trasformazione. Ciò che implica una tensione positiva nella lettura dei dati contestuali e un impegno per il cambiamento. Così di fronte alla drammatica situazione de L’Aquila, dopo il sisma del 6 aprile 2009, alla devastazione del suo centro storico, all’abbandono forzato degli abitanti e delle attività, il designer si interroga sulle possibilità di un contributo alla rinascita. Lo studio delle tradizioni e delle condizioni materiali precedenti la catastrofe; il contatto con le istituzioni, le associazioni della società civile, i singoli cittadini; l’analisi degli interventi realizzati e delle proposte in discussione, offrono tutti una prima base conoscitiva. A essa si affiancano strumenti di indagine più propriamente disciplinari che attengono allo stato dei luoghi e ai loro usi nelle mutate condizioni urbane. Infine esiste un terzo livello di lettura, più difficile da precisare in termini metodologici, che riguarda la capacità di leggere i luoghi secondo angolazioni e profondità di campo inusuali. Il progettista attraversa il centro vuoto de L’Aquila, trova nelle protesi di sostegno e nell’ipertrofia dei ponteggi sulle facciate barocche, l’insorgere di un’estetica inattesa, una nuova immagine della città che il design può valorizzare e restituire all’uso dei cittadini, alla ripresa delle pratiche sociali e delle attività economiche.
L’Aquila: progettare l’incertezza per tornare a vivere la città
Un’anticipazione di Domus 1021 dal tema “Time”: il Politecnico di Milano ha realizzato un’indagine sul tempo della progettazione dopo il terremoto.
View Article details
- Luca Guerrini
- 05 febbraio 2018
Tra l’azione di sostegno immediato alla popolazione e la ricostruzione permanente esiste un tempo intermedio che non può essere lasciato vuoto e che la cultura del design può efficacemente strutturare, attraverso le tecnologie leggere e reversibili mutuate dall’allestimento e dalla scenografia; le prassi progettuali dell’interior applicate allo spazio urbano; l’attenzione al progetto come processo e come evento, ovvero “azione nel tempo” che considera tanto la costruzione quanto la dismissione e predispone lo spazio costruito ad un uso plurimo: per compresenza, per alternanza – ad esempio diurna/notturna – per sostituzione, come un hardware compatibile con più applicativi. Tali orientamenti progettuali sono al centro dell’attività didattica e di ricerca del Corso di Studi in Interior and Spatial Design del Politecnico di Milano. I Laboratori di Sintesi – strutture didattiche che accompagnano gli studenti allo sviluppo della loro Tesi di Laurea Magistrale – costituiscono il luogo più idoneo all’approfondimento di tali tematiche ed è in quest’ambito che è maturata l’esperienza su L’Aquila. Tra il 2010 e il 2012, cinque docenti titolari e cinque collaboratori hanno guidato il lavoro di 120 studenti nella realizzazione di 36 proposte progettuali.
La struttura sociale, il contesto economico-produttivo, le tradizioni locali sono state studiate con l’aiuto dell’Università de L’Aquila, del Comune e delle associazioni cittadine, in un dialogo diretto che ha consentito al Laboratorio di accreditarsi come agenzia al servizio dei cittadini. In tal senso muovono tutte le sperimentazioni progettuali che, se in prima istanza si prefiggono di riportare nella città le pratiche, le attività e le ritualità precedenti al sisma, vorrebbero anche contribuire al rilancio dell’economia locale attirando la domanda turistica nei mesi primaverili-estivi. Conseguentemente molti progetti si calibrano per un utilizzo limitato nel tempo ed evitano i vincoli costruttivi e normativi di strutture permanenti. In base alle priorità riscontrate sul territorio sono stati individuano diversi temi, tra i quali: a) la realizzazione di servizi alla residenza, luoghi di aggregazione e negozi negli insediamenti post-sisma (progetto C.A.S.E.) mediante tecnologie di prefabbricazione leggera b) il ridisegno di un vasto spazio aperto prossimo al centro storico (Piazza d’Armi), come suo “doppio” temporaneo, che ne accolga le attività e predisponga un futuro parco. c) la progettazione di strutture leggere – abitabili e non – che consenta forme di “colonizzazione” reversibile del centro storico. Se il primo tema suggerisce di radicare i nuovi siti – orfani e astratti – al luogo e alla terra attraverso minime forme archetipe e innesti di natura (Lami, Mariotti); il secondo accetta la sfida del tempo che scorre. Si progettano paesaggi in continua metamorfosi, man mano che il centro storico riacquista vita, instaurando un confronto tra natura ed artificio a ruoli inversi rispetto all’usuale: al crescere della prima scompare il secondo (Defelicis e Poletti; Frigerio e Lonardo; Sachero, Savoini e Valbusa).
Tutti i progetti esprimono la cura per gli aquilani, i loro luoghi, le loro tradizioni. Ma sono gli interventi nel centro storico che meglio dispiegano gli obiettivi del Laboratorio. La maggior parte di questi propone eventi performativi attraverso i quali lo spazio urbano si mostra tanto prezioso quanto vulnerabile. L’uso di modalità narrativo-procedurali rafforza l’idea che il esito del progetto sia una “azione nel tempo”, un processo esso stesso. In tal senso le sequenze operative e le istruzioni d’uso si antepongono alla definizione degli oggetti e degli spazi, aggiornando il concetto consolidato di design. La città e i suoi abitanti sono protagonisti. Ad esempio quando si re-inventano i riti della tradizione urbana – il mercato, lo spettacolo, la messa – negli spazi pubblici (Accetti, Barosi e Beghi); quando si coinvolgono gli anziani – unici depositari della tradizione culinaria – nell’organizzazione di cene collettive nelle vie del centro (Innocenti, Ma e Mignosa); oppure quando si reclamizzano eventi musicali pop-up per i giovani, attraverso l’uso di nuove tecnologie e dispositivi interattivi (Lualdi). In un ambiente disabitato e in larga parte privo di illuminazione pubblica, molti progetti esplorano gli effetti della luce artificiale, che presidia i luoghi e rassicura gli abitanti. Si disegnano esili contenitori-lanterna che riproducono le facciate retrostanti e propongono usi diversificati nelle diverse ore del giorno e della notte (Della Sala, Guernieri e Jovanovic); oppure si realizzano videoinstallazioni che raccontano l’evoluzione dei monumenti al susseguirsi dei terremoti – L’Aquila ne ha conosciuti tre in 600 anni (Matic). C’è, in molti lavori una fascinazione per questa sorta di “architettura ortopedica” data dai puntellamenti lignei, che esprimono la sapienza artigiana del Vigili del Fuoco (Benaglia Cattaruzza e Saccani), e dalle impalcature metalliche che invece materializzano l’urgenza istituzionale della sicurezza (Cattani; Contini De Lorentis e Ghezzi). Si tratta di progettare “l’incertezza”, cioè accettare la sfida del divenire delle cose. L’intervento temporaneo è tale non per la “breve durata”, ma perché accetta la varietà e mobilità degli utenti offrendo loro spazi di vita e di relazione, disponibili alla trasformazione senza modifiche sul sistema tecnologico e ambientale originario. In questa accezione la temporaneità esprime un valore contemporaneo, indipendente dalla dimensione dell’emergenza.
Luca Guerrini è Professore Associato al Dipartimento di Design, Politecnico di Milano. Il Laboratorio su L’Aquila è stato diretto dall’autore, insieme con Paolo Brambilla, Fabrizio Pignoloni, Filippo Taidelli, hanno collaborato Chiara Bianchini, Elena Dalmasso, Silvia Danesi, Alessandra Di Virgilio, Patrizia Foletti. Si ringraziano per la collaborazione: Francesca Balena (Politecnico di Milano), Mario Centofanti (Università de L’Aquila), Andrea Colcuc (Coordinatore progetto C.A.S.E.), Francesco Giancola (Università di Saragozza) Renato Ruatti (Architetto, progetto C.A.S.E.), Chiara Santoro (Comune de L’Aquila), Anna Spreafico (Esterni, Milano), Lucia Uni (Artista, autrice di “Qui L’Aquila”).