Punta Sottile è il luogo più a sud d’Italia, un estremo lembo dell’isola di Lampedusa dove la terra si trasforma dolcemente in mare.
Qui, in un passato più o meno remoto, il banco di roccia frastagliata è stato scavato per ottenere pietra da costruzione. Inconsapevolmente, la mano dell’uomo ha dato forma a un luogo che ha caratteri mistici e arcaici, fuori dal tempo della storia. A pochi passi dalla scogliera, la terra sprofonda e ci si inabissa in un mare di pietra colore dell’oro che fa scomparire la nitida linea d’orizzonte, di quell’acqua che Sciascia, e assai prima di lui Omero, definiva colore del vino. Camere scavate nel terreno con finestre aperte solo sul cielo. La pietra porta i segni delle lavorazioni: ritmati, ricorrenti tagli verticali che solcano come ferite le pareti della roccia. Qui, talvolta, trova dimora un seme che, se ha fortuna, diventa fiore. Unico luogo, forse, in cui l’isola perde la vista del suo mare: se ne sente l’odore, il rumore, ma l’occhio registra l’assenza, il vuoto, la perdita.
Quale luogo, più di questo, potrebbe ospitare la memoria di quel che l’isola è stata ed è nella nostra storia recente: approdo, ancora, scialuppa, tomba. Vita e morte s’intrecciano nell’idea di progetto di Vincenzo Latina. E la cava è chiamata a ospitarle entrambe: a ridare voce al ricordo di una delle più grandi e disperate migrazioni dei nostri tempi e al contempo a rendere giustizia alla vocazione turistica dell’isola, con uno spazio pensato per accogliere concerti e rappresentazioni teatrali.