Les Revenants

Nella serie TV francese ormai diventata di culto, una blue-print di architettura si sovrappone alla narrazione: piazze, chiese, tunnel, fermate di autobus e persino monumenti funebri ridefiniscono e restituiscono un luogo di appartenenza a ogni singolo personaggio.

Dalla Francia delle eccezione culturali, dal Paese che decentra un grande museo come il Louvre a Lens, una regione economicamente depressa – quasi fosse una cura omeopatica – arriva Les Revenants, una nuova serie televisiva che sorprende. Intanto, per l’indistinta posizione tra la vita, la morte e il mondo. Poi, per il funzionamento architettonico che le è sotteso. La storia comincia su una diga e deborda dalle acque del lago che regola. Les Revenants è prodotto da Caroline Benjo e Jimmy Desmarais che, con la casa di produzione Haute e Court, avevano già realizzato il film Palma d’Oro a cannes Entre le Murs di Laurent Cantet sulla densa relazione umano-geometrica nell’universo di una classe.  

In apertura: Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants, primo episodio. Photo Jean-Claude Lother. Qui sopra: Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants, ambientazione. Photo © Batmanu / Haut et Court / Canal+

Lontana dall’opus gore come quello degli zombie di Romero, una blue-print di architettura si sovrappone al funzionamento di un mondo che, di episodio in episodio, ne costruisce anche la sua critica. I morti si muovono come se fossero vivi, non sono fantasmi bensì corpi ultrapolitici, completamente diversi da quelli che normalmente si annidano nei B movie: non assaltano centri commerciali per divorare umani, ma sono invece alla ricerca di vecchi amori, che lavorano come bibliotecarie in una mediateca di provincia. Piazze, chiese, tunnel, fermate di autobus, stazioni di polizia e persino monumenti funebri sono altrettanto fondamentali nel ridefinire e restituire un luogo di appartenenza a ogni singola esistenza che riemerge. La colonna sonora di Mogwai è un altro elemento speciale nella definizione dei confini immateriali di questa serie TV davvero accattivante.

Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants. Photo © Batmanu / Haut et Court / Canal+

La serie fa pensare a uno smottamento di competenze, che deborda dagli argini disciplinari del design o dell’architettura e opera in terreni collaterali: la rete, il cinema o la televisione, per esempio. Tutti media che sono impegnati a ridefinire la percezione soggettiva, con la creazione di luoghi paralleli e che, fino al secolo scorso, sembravano prerogativa unica della narrativa. La fiction è ancora distrattamente svincolata dall’universo mediatico. Più tardi, ci si accorge che il nesso tra la periodicità del feuilletton e il dipanarsi della rete fognaria di Parigi o quello tra le strutture periodiche e/o formali di controllo sociale sono la crescita urbana su scala haussmaniana e corrispondono allo stesso piano di racconto e di riscrittura della modernità.

Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants. Photo © Batmanu / Haut et Court / Canal+

Nel suo disincantato abbraccio al mondo, oggi, l’universo mediatico è impegnato a costruire ritmi, tempi e spazi del nostro universo spettacolare con strategie molto simili all’architettura. Già Guy Debord aveva spiegato come progressivamente lo stratificarsi dell’esistenza intorno all’offerta pubblicitaria o alla merce, avesse avuto bisogni di ritracciare e descrivere geografie altrettanto reali. Ora, localizzati sui nostri schermi digitali, residui di psicogeografia sono diventati l’aldilà percettibile, ben prima della loro perfetta descrizione formale nella presenza digitale. Il nostro know-how del mondo non è l’indistinta tappezzeria che sembrava dover foderare il deserto del reale (il junk food, la muzak per ascensori); non è nemmeno il simulacro stesso del mondo in cui ci muoviamo assai agevolmente.

Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants, ambientazione. Photo © Batmanu / Haut et Court / Canal+

L’universo virtuale e l’universo reale sembrano coincidere come mai era successo prima. Era forse immaginabile, filosoficamente, agli albori della polis greca, con quella teoria peripatetica che nominava il mondo. Con cursori, touch screen e visione a 360° possiamo percorrere le strade, le piazze e i tunnel ed entrare negli alloggi delle case popolari di una cittadina della provincia francese grazie alla serie TV Les Revenants, grande successo di audience dell’autunno televisivo di Canal +. Ma ciò che più colpisce in questa esperienza di deriva controllata è che, da questo sistema, emergono Les Revenants, morti che abitano il “sistema-mondo” e noi lo percorriamo in loro compagnia come in una mappa emotiva, figlia dell’utopia del moderno.

Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants. Photo © Batmanu / Haut et Court / Canal+

Il prime-time televisivo degli anni ’80 e ’90, con l’offerta topografica già dalla sigla, ci aveva facilitato l’accesso a questi nuovi scenari. Il ranch texano di Dallas, la rete viaria di New York in NY Police Blues così come i porti e le autostrade di Miami Vice diventavano non solo intrattenimento, ma riempivano anche le agende emotive, non meno delle vicende umane dell’ospedale di ER o delle spiagge di Bay Watch, fino all’isola deserta di Lost o alla prigione di Prison Break. Ora, però, la serie TV si rilocalizza, come il grande cinema quando migra nel formato compresso di Youtube. E presenta lo stesso grado di precisione e intrattenimento della griglia di utilizzo di uno smart phone. Non solo turismo televisivo, dunque, o cinematografico, ma più propriamente istruzioni per l’uso. Serie come Six feet under, Nip-tuck o Sex and the city ci hanno abituato a un sistema di competenze che assomigliano alla localizzazione geografica dell’esperienza emotiva, intrecciando un sistema di script e relazioni attraverso cui rileggere la quotidianità. Se un sistema satellitare è utilissimo, ma serve pur sempre a vendere telefoni, così l’universo iperrealistico delle serie TV di successo segna l’atto finale del ciclo nascita-vita-morte della TV commerciale. Paradossalmente, però, fu nella cittadina di provincia Twins Peaks (51.201 anime) che, collassando nel perverso e surreale minimalismo di un maestro come David Lynch, si ridisegnarono le linee del no-more-reality per il grande pubblico. Confermata la disintegrazione del mezzo televisivo nel reality show negli anni ’90, la vita di questo villaggio alla frontiera tra Stati Uniti e Canada impose la vittoria degli spettri simil-esoterici e un modello di accesso e supremazia dello schermo. Oggi basta un doppio click e una visione full-screen.

Fabrice Gobert e Frédéric Mermoud, Les Revenants. Photo © Batmanu / Haut et Court / Canal+