Mi ritengo abbastanza fortunata: dalla finestra del mio ufficio vedo gli alberi. Sono invece un po' meno fortunata quando devo raggiungere il mio posto di lavoro: la tangenziale Ovest di Milano, di cui conosco ogni punto per anni di frequentazione e code, è un pantano che mi aspetta al varco quotidianamente. Così, quando ho visitato il nuovo studio che Giovanni Traverso e Paola Vighy si sono costruiti a Costabissara, sopra le colline di Vicenza, ho capito che, spesso, si tratta di mettere in pratica certe scelte.
In questo progetto, il numero zero – solitamente associato a fattori negativi (sei uno zero, vali uno zero...) – gioca un ruolo vincente: il nuovo atelier è a km zero, nel senso che circa dieci metri lo separano dalla casa in cui i due architetti vicentini abitano. Zero fatica, zero consumo di benzina, zero rumori della città, a favore di una migliore qualità della vita.
La rivincita del numero zero non si ferma qui, ma è un punto fermo del progetto. La struttura è a energia zero. Rispetta la normativa europea che sarà in vigore nel 2020 per tutti gli edifici pubblici di nuova costruzione, in quanto è completamente alimentata da "energie territoriali: combustione della legna del bosco, energia solare, geotermia". Inoltre, è in grado di vendere alla rete elettrica il surplus prodotto dai pannelli fotovoltaici: circa 100 euro al mese, nel periodo invernale, permettendo così ai proprietari/progettisti di ripagarsi nel tempo l'installazione dell'impianto fotovoltaico. La costruzione, realizzata con il supporto del Dipartimento di Fisica Tecnica dell'Università di Padova, è sottoposta a un piano di monitoraggio, in modo da registrarne le perfomance energetiche e microclimatiche.
Traverso–Vighy: la rivincita dello zero
Giovanni Traverso e Paola Vighy sperimentano le qualità positive del vivere e lavorare a chilometri zero: il loro nuovo studio è una scatola lignea che, dal punto di vista energetico ma anche etico, produce più di quanto consuma.
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- Laura Bossi
- 27 febbraio 2013
- Costabissara
L'aspetto tecnologico sottintende una questione di metodo. Traverso e Vighy hanno optato per sistemi costruttivi a secco: necessitano un maggior impegno progettuale ma, in cantiere, richiedono all'architetto una presenza minima. Con una visione simile a quella del disegno industriale, l'edificio è diventato così un grande oggetto, i cui componenti sono stati prodotti da una rete di aziende locali, che operano nell'arco di una distanza di 70 chilometri da Costabissara.
L'atelier è una costruzione leggera composta da due elementi: una struttura in legno di larice lamellare – avvolta da una pelle di acciaio Corten e rialzata da terra tramite delle travi metalliche – , a cui si affianca un secondo volume ligneo. Quest'ultimo si smaterializza sul primo piano in un grigliato, sul quale sono posati dei pannelli fotovoltaici. I materiali costruttivi sono stati selezionati rispettando un principio di sostenibilità: o perché facilmente riciclabili o perché derivati da processi di riciclaggio. Un esempio su tutti: lo strato isolante è costituito da una lana di poliestere prodotta riciclando 40.000 bottiglie di plastica. La costruzione unisce passato e presente: all'expertise artigianale sono state abbinate lavorazioni guidate da macchine a controllo numerico, in modo da ottenere travi e pilastri perimetrali già perfettamente finiti per l'assemblaggio in cantiere. I tempi di montaggio? Ridotti ai minimi termini: circa quattro mesi di cantiere, scavi compresi.
L'architettura di Traverso e Vighy è legata a un'idea di reversibilità. Secondo i due progettisti vicentini, alla fine della sua vita, lo studio può essere smontato, i suoi materiali separati e riciclati, e il sito restituito al paesaggio in cui è inserito
La sua forma architettonica è lo strumento attraverso il quale l'edificio si 'autoalimenta' dal punto di vista illuminotecnico: è un "imbuto solare" che si affaccia verso sud e che, d'inverno, invita i raggi solari a penetrare al suo interno. D'estate, invece, la copertura in aggetto protegge lo spazio di lavoro dall'intensità delle radiazioni. La temperatura interna, in primavera e autunno, può essere regolata aprendo in modo automatico alcune aperture collegate a sensori.
Il metodo costruttivo, a sua volta, presuppone una certa visione: secondo gli architetti, il territorio è una risorsa finita e richiede rispetto. Gli edifici non devono essere elementi permanenti, ma possono anche essere reversibili: "Alla fine della sua vita, lo studio può essere smontato, i suoi materiali separati e riciclati, e il suo sito restituito al paesaggio in cui è inserito". Detto in una regione come il Veneto e in un Paese come l'Italia, in cui la permanenza e la solidità degli edifici sono anche sinonimo di sicurezza psicologica, suona piuttosto coraggioso.
L'anima tecnologica dell'edificio, comunque, sarebbe solo fine a se stessa, se non fosse accompagnata da una visione architettonica. Alla fine, per noi che di questo mestiere viviamo, contano anche le sensazioni che questo spazio comunica: l'atelier vive in sintonia con il paesaggio e con le persone che lo abitano. Alimentato, riscaldato e illuminato dalla luce naturale che penetra liberamente al suo interno, rispetta il ritmo circadiano dell'esistenza di tutti respirando naturalmente come fosse un essere vivente.
Giovanni Traverso, Paola Vighy: Tvzeb
Progetto: Giovanni Traverso, Paola Vighy
Collaboratori: Giovanni Traverso, Paola Vighy, Giulio Dalla Gassa, Elena Panza
Strutture: Loris Frison
Impianti: Lorenzo Barban, Marco Sabbatini
Area costruita: 190 mq
Costo: 350.000 euro
Fase progettuale: settembre 2010–luglio 2011
Costruzione: novembre 2011–luglio 2012