Infografica: Simone Trotti
Che gli Italiani siano soliti considerare ciò che avviene nel loro (nel nostro) Paese un'anomalia, non è davvero una novità. Ciò accade pressoché da sempre e, se vogliamo, non sempre a proposito. Tuttavia, se c'è un settore in Italia la cui situazione è innegabilmente singolare, è quello dell'architettura. Da qualche anno, ormai, tra gli addetti ai lavori girano cifre che riecheggiano come mantra inquietanti. È italiano un terzo degli architetti europei, cifra che rappresenta quasi un decimo del totale mondiale. Ci sono più architetti a Roma che in Svezia e Portogallo messi insieme. Sono dati sorprendenti, se si pensa che la categoria è lungi da poter vantare una situazione occupazionale nell'insieme anche solo accettabile. È evidente che, da qualche parte, qualcosa non sta funzionando, o non ha funzionato in un dato momento storico. Ed è altrettanto evidente che una buona parte del problema ha a che vedere con le università.
Sono certa di non far saltare sulla sedia nessuno se azzardo che, da più di qualche decennio, la formazione universitaria in fatto di architettura sta scontando, in Italia, una fase di profondissima crisi. Possiamo anche decidere di non fidarci ciecamente delle graduatorie internazionali, che in ogni caso sono quasi sempre alquanto ingenerose con le università italiane nel loro complesso — in quelle più affidabili, tra le prime 200 università al mondo compaiono quasi sempre solo Bologna e La Sapienza —, ma dovrà pur esserci un motivo per il quale nemmeno le scuole di architettura con una tradizione gloriosa alle loro spalle sono considerate competitive su scala globale. Forse il problema ha una doppia faccia: la tradizione e la scala globale.
L’importanza che la teoria dell’architettura assume in Italia non trova sbocco nelle questioni reali.