Bijoy Jain, cofondatore in India nel 2005 dello Studio Mumbai, che ha vinto il terzo Swiss Architectural Award bandito dalla Fondazione BSI, proviene da un piccolo villaggio nei dintorni di Mumbai. Qui ha familiarizzato con le emozioni del costruire, sentimento collettivo condiviso trasversalmente da ogni cultura. E si è fatto l'opinione che sia qualcosa di più importante dell'oggetto che viene costruito: "L'architettura è l'idea di una comunità: l'architettura costruisce queste emozioni e la costruzione è il punto della coincidenza, qualcosa che ci unisce."
La posizione di Jain ben si accordava con il Common Ground, il "territorio comune" tema della Biennale Architettura di Venezia di quest'anno, cui la BSI partecipava con una mostra collaterale allestita alla Fondazione Querini Stampalia dal 22 settembre al 7 ottobre. Mario Botta, presidente della giuria, non poteva essere più d'accordo con Jain: "Non è possibile costruire individualmente", ha dichiarato a una tavola rotonda di cui è stato moderatore alla Fondazione il 22 settembre, cui partecipavano Jain, nato nel 1965, e i precedenti vincitori del premio della BSI: Solano Benitez e Diébédo Francis Kéré.
Ma, a parte questo, la presenza a Venezia del premio trascendeva gli obiettivi della Biennale di quest'anno per la specifica sensibilità in materia di tutela dell'equilibrio ambientale e della qualità della vita di fronte alla globalizzazione, nel suo ruolo di istituzione di collegamento con l'architettura e con la sua spiccata attenzione di quest'anno per l'India, l'Africa e il Sudamerica. Lo Studio Mumbai è stato scelto per questo premio biennale in una rosa assolutamente straordinaria di 26 candidati di 12 Paesi (presentati in un libro edito nel 2012 dalla Mendrisio Academy Press e da Silvana Editoriale, a cura di Nicola Navone) per l'originalità del processo di elaborazione dei suoi progetti oltre che per la loro qualità, "fondata su un raffinato sapere di tipo artigianale reinterpretato ed esaltato attraverso la costante interazione del progetto e della costruzione".
Jain, che lavora a quaranta minuti di viaggio da Mumbai, sta ora allestendo un secondo studio in città, ma rimane deciso a rivendicare la capacità coerente, benché ormai rara, di soddisfare le esigenze di tempo e di qualità in modo sostenibile e duraturo. Alla tavola rotonda ha parlato della situazione indiana: "Funziona grazie al caos", che "impedisce al sistema di prendere il sopravvento assoluto". In un Paese con 120 lingue diverse, una miriade di culture alimentari, di costumi e perfino di strutture ossee, "come possiamo conservare questa ricchezza?" Come diceva Roberto Rossellini si tratta di uno "stomaco" che digerisce tutto, e il segreto sta nell'assorbire la globalizzazione in modo che fonda la cultura locale ma conservi "la nostra identità".
Jain definisce l'identità dello Studio Mumbai come un'infrastruttura umana fatta di artigiani e architetti competenti che progettano e costruiscono in proprio l'opera.