Tre progetti dell’architetto californiano Michael Maltzan sulla relazione tra interno e esterno: una ricerca quasi ossessiva sul clima, sullo spazio e sul suo utilizzo che impiega tecnologie avanzate, modelli in scala 1:1, complessi effetti ottici A cura di Joseph Grima, Karen Marta, Matteo Poli.
 
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Intervista a Mirko Zardini

Domus Quale ruolo ha Los Angeles nel lavoro di Michael Maltzan?
MZ Molti degli interventi di Maltzan sono su edifici esistenti e da questo punto di vista sono legati ad esperienze di alcuni anni fa, ad esempio ai primi lavori di Frank Gehry. Pensiamo ad esempio al Museo di Fresno, che incorpora un edificio esistente in un isolato molto articolato e complesso, unendo così elementi diversi in un progetto che reinventa completamente una situazione urbana. Mi sembra che il suo lavoro sia legato all’idea che una città come Los Angeles possa cambiare sfruttando delle potenzialità che fino ad ora sono rimaste inutilizzate.

Domus La presenza di Los Angeles si rivela anche in una particolare attenzione al rapporto tra interno ed esterno...
MZ In quasi tutti i progetti di Michael sono presenti dispositivi che permettono un passaggio graduale tra gli spazi interni e quelli esterni. I suoi progetti recuperano una serie di condizioni intermedie, normalmente abbandonate o trascurate, grazie a cui il rapporto tra l’edificio e il contesto urbano è sempre molto articolato e sofisticato. Nel caso di Fresno è ad esempio importante non soltanto il percorso fluido che porta all’interno dalla Piazza, ma anche il trattamento degli spazi esterni con delle vasche d’acqua, che sono pensate per creare un microclima diverso, per raffreddare l’aria nel museo. L'idea di progettare un clima è molto interessante: un ambiente non è soltanto un fatto puramente visivo ma è anche legato a una condizione ambientale e alla percezione fisica.

Domus Anche la copertura è studiata per portare all’interno in modi diversi una condizione esterna, per esempio la luce…
MZ La luce è presente anche grazie alla terrazza sulla copertura. Tutti i percorsi sono fluidi e non sono pensati in maniera meccanica, ma sono molto articolati sia nel percorso di ingresso, sia nel percorso di uscita. I dispositivi ottici che Maltzan introduce per creare degli scorci trasversali permettono infatti una visione e soprattutto una circolazione multidirezionale.

Domus Questa ricerca è alla base anche del Jinhua Pavilion. Il ragionamento è simile: la distorsione dello spazio in funzione di un percorso fisico.
MZ Sì, alla base del progetto in Cina c’è la ricerca di una distorsione ottica e spaziale, introdotta sostanzialmente con due piani inclinati che si biforcano generando una serie di sguardi incrociati. Il tentativo di controllare la visione e di condizionare un meccanismo percettivo produce una circolazione particolarmente riuscita, nonostante le dimensioni ridotte del padiglione. Trovo che questo tipo di ricerca sia particolarmente rilevante, perché si fonda sulla presenza fisica degli abitanti; è un’architettura legata in questo senso all’idea del corpo. In questo senso il lavoro di Michael Maltzan è in relazione con la cultura di Los Angeles. Il suo lavoro è una continuazione di questa riflessione ma anche una ricerca che si muove in maniera molto più sofisticata e articolata di quanto non sia avvenuto finora.

Domus Tra gli architetti della scena losangelina, Maltzan è uno dei pochi che stia davvero provando ad innovare i canoni estetici tipici della ricerca architettonica in California.
MZ L’idea di includere nella concezione del progetto la presenza fisica dell’abitante, del corpo, del movimento e della visione, combinata con la ricerca sulle condizioni atmosferiche, l’umidità, l’ombra, la temperatura è pittosto innovativa. Si tratta di temi che nonostante tutto si legano moltissimo alla tradizione culturale recente di Los Angeles.

Domus Questa attenzione alla fisicità si manifesta anche nel suo modo di lavorare? Invece che con il computer, Maltzan lavora moltissimo con modelli fisici, tangibili.
MZ Credo che per lui sia fondamentale questo modo di lavorare. Al di là di come venga prodotto, il modello è uno strumento che permette di controllare le condizioni legate all’abitare e al clima assai meglio di quanto non si possa fare affidandosi esclusivamente ai disegni prodotti in maniera digitale o manuale. La ricerca del controllo degli spazi e dell’ambiente attraverso i modelli ha infatti come sua diretta conseguenza la padronanza effettiva degli aspetti fisici di un progetto.

Domus Un atteggiamento che si riflette anche nella ricerca sui materiali: la produzione dei modelli in scala 1:1 delle facciate o delle texture consente e introduce una grande fisicità nei progetti di Maltzan.
MZ Nei suoi ultimi progetti, questa idea di una visione diretta del manufatto comprende anche la pelle degli edifici: sono involucri che incominciano ad essere trattati in maniera molto più sofisticata attraverso sperimentazioni sui materiali dei pannelli, che vanno dall’acciaio alla fibra di carbonio. È un tentativo – diverso – di controllare anche la luce. Un’idea dell’involucro molto legata all’idea di un controllo ambientale.

Domus Una sorta di fase di ‘post-rendering’... Le immagini ottenute attraverso un modello fisico derivano infatti da un immaginario digitale, riconducibile all'estetica dei rendering.
MZ I progetti di Maltzan sono una somma di tutte queste tecniche. Credo che i disegni da soli non riescano a restituire, come spesso capita in questi casi, la complessità delle situazioni che vengono create; sono più degli strumenti di verifica. Al contrario, i modelli hanno un ruolo fondamentale in questo tipo di concezione degli spazi. Non è un caso che i modelli non siano esclusivamente legati all’oggetto in sé o allo spazio interno, ma riguardino anche lo spazio urbano, inglobando diversi pezzi dell’esistente (a volte basta semplicemente un intonaco, un’immagine...), manipolato in maniera più o meno sofisticata.

Domus Quale tipo di committenza sostiene i lavori di Maltzan?
MZ Credo che, grazie all’esperienza della sede temporanea del MoMA Queens di New York, la sua committenza sia cambiata e oggi sia composta da musei e anche da privati legati al mondo dell’arte, e che tenda a diventare sempre più una committenza pubblica. Ma non dimentichiamo che Maltzan ha già lavorato molto con committenti pubblici. È un dato interessante, perché di solito pensiamo che Los Angeles sia il luogo per antonomasia del privato, mentre in realtà sta diventando una città in cui la componente pubblica gioca un ruolo sempre più importante. Pensiamo ad esempio alla committenza per le piccole biblioteche (che rappresenta un sistema molto particolare di trasformazione della città) o a quella per il sistema delle scuole. Questa committenza, per così dire pubblica, definisce una condizione urbana diversa da quella a cui noi possiamo generalmente pensare. Ad esempio viene data una particolare attenzione – a partire dall'influenza dell’every day urbanism/every day architecture – verso quegli spazi generalmente non considerati che sono importanti per una condizione di vita collettiva, informale, come i parcheggi, i piccoli club, i piccoli spazi da cui Maltzan trae vantaggio, incorporandoli nei suoi progetti, rafforzandone così la presenza urbana e collettiva.

Domus Anche nella Leona Residence ci sono degli spazi che sono in un certo senso “pubblici”. Tutta la casa è circondata da una galleria d'arte per gli ospiti...
MZ La Leona House, in termini di programma, riflette bene la ricerca di Maltzan per realizzare la fluidità tra spazi diversi. È una casa che da una parte ha un programma pubblico – una collezione d’arte – e dall’altra una dimensione di vita totalmente privata. Questi due elementi coesistono in maniera felice all’interno del medesimo intervento: è una casa molto ‘urbana’, che riproduce all’interno dell’edificio delle gerarchie e dei meccanismi solitamente associati a altre tipologie urbane.

Domus C’è una prospettiva internazionale nel suo lavoro?
MZ Maltzan sta partecipando a concorsi in Canada, sta seguendo il progetto in Cina, è presente anche in Europa. Sarà interessante, nei prossimi anni, capire come questa sua competenza e cultura losangelina si svilupperanno a contatto con situazioni così diverse.

Mirko Zardini Architetto, vive tra Milano e Montreal, dove è stato da poco nominato direttore del CCA (Canadian Centre for Architecture).