I social network che non ci sono più

Ricordi Friendster? Duepuntozero? Flickr? E soprattutto, tu c’eri su MySpace? Ritorniamo al momento in cui i social nascevano e morivano con velocità, gli influencer non esistevano e soprattutto ci si divertiva ancora.

C’è un muro che separa le generazioni e non è quello di Berlino, ma l’amicizia con Tom.

Se stai chiedendo “e ora chi è sto Tom?” probabilmente non eri su MySpace, il primo vero social network. Nel 2006, era il sito più cliccato degli Stati Uniti, più di Google e dell’altro motore di ricerca di quegli anni, Yahoo – un simbolo dell’internet dei ’90, definitivamente surclassato e affondato nello scorso decennio da Big G.

Tom era il tuo primo amico su MySpace, una creatura digitale mitologica che qualunque nuovo utente si trovava appioppato de facto all’iscrizione nella lista degli amici. La sua bio era un emoticon che strizzava l’occhiolino, ;-). Ora, se ti stai chiedendo “cosa erano gli emoticon”: erano gli emoji prima che esistessero gli emoji,  stilizzazioni di faccine create con una successione di caratteri che potevi digitare direttamente da tastiera. Tra i più famosi lo smile :-), il “just deal with it” (••)  e questo decisamente immortale: ¯\_(ツ)/¯.

Tom era Tom Anderson, uno dei due fondatori di MySpace. In qualche modo, Tom era un’eccezione (oltre a essere una piaga peggio di quella volta che Apple ti ha messo un disco degli U2 in automatico su iTunes). La maggior parte di noi che usavamo MySpace, avevamo nomi di totale fantasia o quasi, comunque la combinazione nome+cognome era fondamentalmente bandita. La persona più famosa di MySpace era Tila Tequila e di sicuro “Tequila” non era il suo vero cognome. In quei tempi ancora a cavallo tra i due millenni, che sembrano ieri e mille anni fa, internet non era tanto un “gemello digitale” della nostra realtà. Al di là di un utilizzo base per lavorare (mail, qualche sito di informazione e così via), il www (non c’erano le app!) era soprattutto uno spazio immaginativo e fantastico, dove avere una “second life” con persone spesso geograficamente lontane. E poi era una cosa per pochi, non una rubrica telefonica globale come oggi. Le connessioni erano lente, pochissimi avevano un cellulare con accesso alla rete e comunque lo usavi per guardare le mail, non per cazzeggiare. Anche perché costava parecchio. E non era facile e comodo come su un iPhone 16.
 


Stare sui social era una cosa rara, MySpace al suo apice ha toccato i 75 milioni di utenti contro i 3 miliardi registrati da Facebook l’anno scorso. E MySpace era il king di un contesto tumultuoso in cui le cose cambiavano alla velocità della luce: all’epoca era facile vedere nuovi social network nascere e morire con una facilità disarmante. Si creavano profili multipli, si sgusciava fuori e dentro a un login e da un logout quasi come cambiando pelle. Era un mondo digitale per pochi e ci si divertiva parecchio. Una apparente anarchia felice, dall’altra parte dell’oceano però si facevano i big money. Quando uscì Facebook, molti già si chiedevano quanto sarebbe durato. E invece è ancora qui. Il divertimento forse lo è un po’ di meno.

Nel frattempo, ne abbiamo sepolti molti, di social: da Livejournal a Fotolog a Friendster a Flickr a MySpace stesso. Sia chiaro, molti esistono ancora, almeno nominalmente. Si sono trasformati in qualcosa d’altro. Per loro, l’età dell’oro è finita da un pezzo. Le cause sono tante, di sicuro la normalizzazione della nostra vita digitale è una. Poi c’è la trasformazione di quelle che erano soprattutto piattaforme orizzontali, di condivisione dal basso, in gerarchie piramidali con un loro star system e l’influencer-mania che sicuramente ha definito gli ultimi anni.

Ma l’ingresso prepotente degli smartphone è stato probabilmente l’anno zero dei social: quasi per paradosso, nel momento in cui sempre più persone si sono trovate connesse 24/7 alla rete, le piattaforme sono andate in convergenza e da almeno un decennio quelle di Zuckerberg, ovvero Facebook e poi Meta, che comprende anche Whatsapp e Instagram, sono diventate dominanti. Con qualche avversario che ogni tanto spunta fuori, come Snapchat, o il popolarissimo Tiktok, che domani potrebbe ricevere una mazzata letale con il bando dagli Stati Uniti. Lo vedremo presto in questa lista?

Di sicuro, c’è una cosa: vent’anni fa nessuno avrebbe mai pensato a fare il detox dai social. Oggi è un discorso piuttosto comune, soprattutto per i tantissimi che per un motivo devono averci a che fare per lavoro. Libri come The age of surveillance capitalism di Zuboff, Antisocial di Marantz, le cronache sulla bro-life di Anna Weiner (The Uncanny Valley) e ancora prima il film The Social Network di Fincher+Sorkin, o la più recente serie The social dilemma di Netflix hanno contribuito a scollarci da una visione ottimistica e ingenua rispetto alla nostra presenza sui social e a chi li gestisce. Il dumb phone, ovvero il telefono disconnesso dalla rete, è diventato quasi una leggenda urbana. Eppure, come le mosche con il miele, sui social network proprio non riusciamo a non starci. 

Immagine di apertura: un vecchio profilo di MySpace, con l'immagine di Tom come primo amico

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