Filippo Panseca, protagonista nei decenni del dopoguerra dell’arte italiana, è morto il 25 novembre a 84 anni. Lo ricordiamo con questo articolo pubblicato il 31 gennaio 2024 in occasione della mostra “Filippo Panseca. Forma a futura memoria”, a cura di Achille Bonito Oliva e Valentina Catricalà, aperta tra dicembre 2023 e gennaio 2024 all’ADI Design Museum di Milano.
Per un autore “cancellato” dalla storia recente, che a suo tempo – ironia della sorte – aveva “inventato” opere che spariscono lentamente, una mostra e un catalogo ora fanno riaffiorare il suo lavoro, così che l’onda lunga della storia permetta di saltare le incomprensioni e le interferenze, e di riconoscere l’importanza dei concetti senza il rumore del contesto, o di quel terremoto, che a inizio anni ’90 ha raso al suolo la sua credibilità e il suo accredito nei confronti del mondo dell’arte.
Parliamo di Filippo Panseca, un artista nel senso più ampio e originario del termine, ovvero uno che fa quello che sente in relazione al mondo presente, attivando operazioni e lasciando testimonianze per il pensiero e la vita della gente.
Ai più questo nome dice ancora poco ma per accendere istantaneamente la memoria basta aggiungere “l’architetto di Craxi”, per cui subito tutti individuano colui che ha letteralmente costruito l’immagine del Partito Socialista italiano tra il 1978 e il 1991, prima della grande disfatta. Appunto. A lui furono affidati tutti gli innovativi progetti di allestimento dei Congressi del Partito per i quali porta ancora lo stigma ma oltre ai quali c’è un universo di idee e opere che dimostrano come anche quel periodo discutibile e discusso sia stato per un’artista come Panseca solo una occasione per sviluppare la sua arte, al servizio di un mecenate, certo, come tanti grandi del passato hanno fatto senza che la storia dell’arte ne chiedesse troppo conto.
Le scenografie erano esperienze estetico-cinetiche, in continuità con le ricerche artistiche sviluppate negli anni Settanta.
Filippo Panseca
Quelle per lui erano solo “occasioni per realizzare progetti estetici su una scala inimmaginabile, sperimentare con materiali pazzeschi: le scenografie erano esperienze estetico-cinetiche, in continuità con le ricerche artistiche sviluppate negli anni Settanta”, come Panseca dichiarava in una intervista. Per citarne uno su tutti, e poi passare oltre, ricordiamo l’iconica “Piramide Telematica” per il congresso a Milano nel 1989 (non dimentichiamo il periodo post moderno in architettura e che la piramide del Louvre è dell’anno prima), che oltre a ingrandire l’immagine dei soggetti che parlavano sul podio poteva collegarsi alle reti televisive domestiche e quindi, per la prima volta, entrare in diretta nelle case degli italiani.
Decapitata questa punta dell’iceberg, è il momento di girare pagina e di ricominciare a fare ricerca, studiare e scrivere di un lunghissimo e variegato lavoro iniziato a fine anni ’50, da autodidatta in una Palermo che non offriva grandi occasioni e dalla quale, dopo prime e comunque originali esperienze, Panseca si trasferì, contemporaneamente, a Roma sviluppando la sua arte visiva e poi tele-visiva, e a Milano dove intraprese la sua arte più progettuale e scenografica.
La mostra a cura di Achille Bonito Oliva e Valentino Catricalà, allestita in un piccolo spazio all’Adi Design Museum, celebra solo alcune idee e opere dopo un trentennio di oblio, e ha il merito di riportare alla luce lampi di genio che continuano ad emettere raggi ancora luminosi e che viaggiano nel tempo senza perdere energia.
Oltre la mostra, un catalogo dall’emblematico titolo “Forme a futura memoria” ben presenta ed approfondisce alcune altre tematiche di un enorme lavoro eclettico e di ricerca tra arti e design, tutto da riscoprire per capire la portata di una azione così originale e che promette nuove connessioni del pensiero di Panseca con la contemporaneità più contingente.
Pittore, scultore, videoartista, progettista, architetto, performer, animatore, provocatore: autore di un’arte sempre in stretto contatto con la società, con opere che partono certo dall’io ma vogliono arrivare al noi.
Panseca è sempre stato un ricercatore estetico solitario, nel senso di non adesione a gruppi di altri se non quelli sperimentali di sua fondazione e conduzione; sempre all’avanguardia e alla scoperta di nuovi temi, non si è mai preoccupato di farsi riconoscere troppo dalla critica, per esempio non esponendo sempre nelle stesse gallerie o ripetendo le stesse operazioni artistiche.
Delle sue opere hanno scritto Gillo Dorfles, Guido Ballo, Pierre Restany, Tommaso Trini e Achille Bonito Oliva (solo per citare i più noti e autorevoli), tutti critici di riferimento di quel periodo di neoavanguardie, mentre le sue mostre sono avvenute nelle Quadriennali di Roma, nelle Triennali di Milano e nelle Biennali di Venezia, oltre che in molte diverse gallerie anche all’estero, tra le quali comunque anche quelle dai nomi mitici per gli appassionati d’arte: l’Apollinaire, il Naviglio, l’Obelisco.
Una delle sue idee d’arte più attuali, pur risalendo agli anni ’70, e con una certa dose di teoria e provocazione, sono le cosiddette opere biodegradabili fatte perché “anche l’arte non deve inquinare”, ben conscio che la produzione umana, compresa quella artistica, a volte è dannosa per la natura, dalla quale si dovrebbe sempre partire per poi ad un certo punto ritornare. Oltre a questa sensibilità (ben lungi da riferimenti stilistici naturalistici), con questa idea di opera Panseca lavora sul concetto di temporalità dell’arte e quindi della proprietà di qualcosa che per definizione è temporaneo, a volte effimero, come in principio la bellezza.
Domus lo ha pubblicato decine di volte tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli ’80, dove compaiono da un lato tutte le sue ricerche d’avanguardia tra arte, tecnologia, media e design (importante l’articolo scritto da Bonito Oliva dal titolo “Assalto all’oggetto, 1970 Domus 430), ma anche i suoi lavori di arredamento e complemento (partendo dalla sua prima partecipazione al Salone del Mobile del 1968 - Domus 468), i progetti di architettura degli interni (1972 Domus 514), fino alla copertina del 1973 (Domus 519) in cui si celebra la sua idea di monumento temporaneo e degradabile.
Le parole di Gillo Dorfles, scritte sull’invito di inaugurazione di una mostra di Panseca alla Galleria dell’Obelisco di Roma nel 1969, ben definiscono questo rapporto “magico”: “Tutti questi oggetti ripetono lo stesso genere di ricerche rammentate per gli oggetti ‘inutili’, e ci persuadono ancora una volta come l’osmosi tra produzione industrializzata utilitaria e invenzione di opere ‘edonistiche’ e giocose è il mezzo migliore per attivare reciprocamente i due settori riscattando l’artificio tecnologico con la vivacità fantastica attraverso un incessante alternarsi del ‘bello’ e dell’‘utile’, dell’‘arte’ e del ‘gioco’”.
Tutte le immagini courtesy Adi Design Museum