
Finora, però, Shenzhen non ha mostrato grandi qualità culturali di livello mondiale, o comunque lo ha fatto solo in collegamento con Hong Kong. A parte un’esplosione di biennali e triennali sperimentali, certi studi d’architettura come Urbanus e la sede locale delle rete nazionale dell’OCAT la città viene identificata come un’area produttive poco interessante, come nei ritratti tipologici alla Edward Burtinsky, più che come una metà di ricerca culturale.
L’inaugurazione del Museo del design di Shekou, prevista per i primi mesi del 2017, rappresenta un’onda di marea che preannuncia il cambiamento. La novità dà una sostanziale scossa allo scenario, perché il nuovo centro, che intende offrire alla classe lavoratrice di Shenzhen un polo culturale di livello mondiale, sarà direttamente associata, almeno per i primi anni di vita, con una delle istituzioni più autorevoli d’Europa: il britannico Victoria & Albert Museum.



“Il nostro punto di vista sarà diverso da quello della maggior parte dei musei, non sarà tanto concentrato sugli oggetti, sugli autori, sulle acquisizioni e sulle altre categorie della pratica museale”, dichiara Bouman, architetto olandese già direttore del Nederlands Architectuurinstituut e curatore nel 2013 della 5a Biennale Bi-City Shenzhen/Hong Kong: “Cercheremo di concentrarci su valori, questioni, emergenze, e quindi di metterci in sintonia con la realtà. Shenzhen è il luogo perfetto per questo scopo perché da quando ha cominciato a crescere trentacinque anni fa ha superato qualunque categoria urbanistica esistente”.
“Il nostro obiettivo è creare a Shenzhen qualcosa di simile a ciò che abbiamo a Londra: un polo di manifestazioni, non solo uno spazio espositivo”, aggiunge Mengoni, curatrice di origini italiane e studiosa d’arte cinese. “Contemporaneamente il nostro museo deve affrontare l’eccezionale complessità del discorso contemporaneo del design in Cina, che sta attraversando contemporaneamente tutte le fasi che abbiamo vissuto nella storia europea dal XX secolo a oggi: quella industriale, quella postindustriale e quella digitale, l’attenzione alla tradizione e il desiderio di ottenere un’identità sovranazionale.”

Mengoni ha il ruolo di direttrice della V&A Gallery, i cui oggetti sono stati scelti dagli archivi del Victoria & Albert, tra gli altri nei dipartimenti di Arredamento e Design di prodotto, Moda, Fotografia, Teatro e performance. “Considero il nostro lavoro in questo centro espositivo come una ricerca sul nostro modo di misurare il valore delle cose, punto cruciale per la cultura del progetto contemporanea in Cina”, afferma Cormier, canadese d’origine e primo curatore della collezione di design contemporaneo. “L’affermazione della borghesia sta delineando nuovi stili di vita nella società. E intorno a questo fenomeno parecchio di quel che accade ha a che fare con il design. Negli affari, nella percezione di questa attività da parte del governo e anche nel mondo della formazione.”
“Quel che spesso prevale nel paese è una concezione del design orientata al consumatore, nel senso che il design viene considerato uno strumento per dare visibilità a una condizione sociale”, prosegue Cormier. “Con il nostro lavoro speriamo di favorire una percezione pluridimensionale. I designer trovano legittimazione a vari livelli, e perciò stiamo lavorando a un percorso espositivo che li incrocerà tutti, tenendo conto di variabili come l’identità, l’innovazione dei materiali, il problem solving, le strategie di comunicazione e la bellezza.”
La Cina conta oggi due milioni di designer ma non ha una cultura progettuale altrettanto sviluppata
L’istituzione del Museo del design di Shekou mira anche a influire sul dibattito nazionale in materia di formazione al progetto. “Da una parte il Partito Comunista ha investito massicce risorse nella gestione delle scuole di design. D’altro canto il modello di business a livello industriale è rimasto inalterato. Il risultato è che la Cina di oggi conta due milioni di designer ma non ha una cultura progettuale altrettanto sviluppata”, afferma Mengoni. Coma ha testimoniato il più recente Global Grad Show di Dubai, tra molti altri esempi, gli studenti di design cinesi che raggiungono il successo sono sempre più numerosi. E tuttavia, quando vogliono lavorare nel loro paese è probabile che debbano affrontare un mercato profondamente conservatore.
“Molte imprese cinesi trovano ancora più conveniente copiare il design occidentale e rifarlo a prezzi inferiori”, dice Cormier: “Se solo un piccola parte di quei due milioni di designer volesse fondare nuove società dovrebbe convincere i produttori a investire finalmente sul design. Ed è qui che la nostra presenza vuol essere di qualche aiuto. È interessante notare che qualcosa di simile è accaduto all’inizio del Novecento in America. All’epoca, di punto in bianco, per ottenere buoni risultati di mercato i designer hanno dovuto trasformarsi in narratori”.

Il successo del Museo del design di Shekou si potrà misurare solo nel lungo periodo, non solo come progetto curatoriale ma anche in quanto piattaforma per la trasformazione dello spazio urbano ed economico della regione del delta del Fiume delle Perle. La presenza del Victoria & Albert sarà cruciale per eliminare gli squilibri culturali tra Shenzhen e altre città di primo piano. “A Pechino e a Shanghai si può contare sulla fedeltà di una cittadinanza che darà vita a un pubblico di visitatori dei musei” spiega Cormier: “A Shenzhen il compito vero è costruire da zero questa cittadinanza. Anche questo fa parte della nostra missione, consistente nel favorire la crescita di una cultura del progetto”.
“Da un certo punto di vista si parla di Shenzhen come di un ‘deserto culturale’ per l’assenza della tipica infrastruttura della cultura”, afferma Bouman; “Tuttavia, se diamo prima di tutto uno sguardo alla spinta di emancipazione della città e di conseguenza alle innumerevoli vie in cui quest’impulso trova strade creative nel settore della cultura, diventa evidente che il futuro appartiene a Shenzhen”.

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