Alla Biennale di Venezia il padiglione israeliano presenta un’analisi approfondita dello status quo: un sistema di governo antico per governare i luoghi santi in conflitto. Il curatore Oren Sagiv enumera le regole e i protocolli che sono stati in vigore per secoli e i modi in cui le controversie politiche sono approdate a risposte architettoniche differenti. Il racconto è ricco di aneddoti illustrati con linguaggi diversi: modelli, video, grafica d’animazione e disegni d’architettura. La mostra si snoda sulla falsariga di cinque parole chiave: Coreografia, Progetto, Monumento, Paesaggio e Scenografia, che saranno qui illustrate dalle parole del curatore.
Status quo: una forza equilibratrice per la mediazione politica
Il Padiglione Israele alla Biennale di Venezia analizza l’invisibile ma potente struttura negoziale che sta dietro i luoghi sacri in Terrasanta.
View Article details
- Marianna Guernieri
- 27 luglio 2018
- Venezia
“Guardiamo alla Terrasanta, che oggi è Israele e in parte governata dall’Autorità Nazionale Palestinese. Ciò che ci interessa è il conflitto, e la soluzione del conflitto: l’architettura può esserne parte”, spiega il curatore Oren Sagiv. “I luoghi santi sono divisi tra vari gruppi: luoghi contestati in conflitto tra loro, ma che ciò nonostante, in varia misura e in modi differenti, conservano il proprio modus operandi, o piuttosto il loro modus vivendi. Sono troppo importanti per tutti: i protocolli che vigono qui non sono ufficiali, non succede come con la giurisprudenza moderna. Qui sono sempre mobili, e il fatto che le autorità religiose non li registrino (in realtà evitano di farlo) dà spazio a un potenziale cambiamento.”
“Vogliamo trattare questo tema perché tendiamo – l’Israele laica tende – a voltare le spalle a questa eredità culturale: noi, e il mondo intero, tendiamo a guardare al più immediato conflitto politico tra Israele e Palestina. Ma se pensiamo a quest’area, che è la culla delle religioni monoteistiche, con le analogie e i conflitti che risalgono nel tempo, credo sia interessante comprendere lo status quo e presentarlo nei rapporti con la realtà politica. Qui si vede l’architettura come strumento in grado di guardare alla forma di governo e ai protocolli comportamentali: architettura come senso, come funzione, come programma.”
Coreografia: protocolli spaziali e temporali. “La basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri ai cristiani: greco-ortodossi, latini, armeni, copti, siriaci. Ciascuna comunità ne rivendica la proprietà: nel corso del tempo ci sono stati parecchi conflitti. Qui si vede un modello architettonico commissionato negli anni Sessanta dell’Ottocento, oltre centocinquant’anni fa, dal sultano ottomano. Incaricò un orologiaio tedesco, Conrad S. Schick, di creare questo modello a colori codificati, che indicava le varie proprietà del territorio. Tutto ciò che si vede in bianco non appartiene ad alcuna comunità, appartiene a tutti. E dovevano dividersi tutto ciò che aveva a che fare non solo con il culto e la liturgia, ma anche con la manutenzione: le pulizie, o tenere accesa una lampada, per esempio. Il che ci porta a un video che abbiamo realizzato: i modellino considera lo spazio, il video mostra la divisione del tempo in cui i rituali vengono celebrati, in una composizione temporale precisissima.”
Qui si vede l’architettura come strumento in grado di guardare alla forma di governo e ai protocolli comportamentali: architettura come senso, come funzione, come programma.
Progetto: dal modus vivendi al modus operandi. “La Spianata del Muro occidentale di Gerusalemme, altro luogo sacro. Fino al giugno del 1967 qui c’era un quartiere chiamato Maghreb, ma il quarto giorno della guerra dei Sei giorni venne realizzato un piano di demolizione, per consentire agli ebrei di arrivarci una volta che la zona fosse stata sotto il controllo di Israele. Il quartiere fu demolito con una decisione rapidissima per creare la Spianata. Da quel momento in poi questa tabula rasa è stata oggetto di proposte progettuali. Qui presentiamo nove delle decine proposte avanzate nel corso degli anni, da nomi come Louis Kahn, Isamu Noguchi, Moshe Safdie, fino a Superstudio. Il punto è: qual è l’identità di questo luogo? È civile o religiosa? La società israeliana non è concorde sul ruolo della religione nella società. Alla fine nessuna proposta ha avuto successo, perché avrebbe alterato lo status quo.”
Monumento: la permanenza dell’effimero. “Di solito lo status quo cambia in modo radicale o spettacolare quando succede qualcosa di drammatico. Può essere una guerra (come la guerra di Crimea che diede vita a un protocollo che resiste ancor oggi) oppure un danno materiale. Ne è un esempio la salita del Mughrabi, l’unico ingresso che permette ai non musulmani di arrivare al Monte del Tempio. Ogni giorno, per ore, turisti, ebrei laici ed ebrei osservanti ci passano in gruppo accompagnati da soldati israeliani. È un luogo di grande fragilità, un luogo esplosivo, dove i visitatori devono rispettare delle indicazioni protocollari per evitare le provocazioni. Questa scala a ponteggio in realtà fu costruita oltre dieci anni fa, quando nel 2004 una rampa collassò a causa di una forte nevicata. E questa struttura temporanea non va toccata, è stata solo rinforzata in modo che non crolli: qualunque cambiamento interferirebbe con lo status quo, in senso politico. Una volta arrivati su Monte del Tempio si trova un luogo sereno, tranquillo e calmo. L’aspetto è molto semplic, prosaico (e ovviamente ci sono soldati e polizia). Non sapevamo come affrontare questo spazio e quindi abbiamo commissionato un film d’animazione all’illustratore David Polonski, semplicemente per comunicare questa sensazione.”
Paesaggio e Scenografia: la Tomba di Rachele e la Grotta dei Patriarchi, la moschea di Ibrahim di Hebron, Al-Khalil. La Tomba di Rachele, situata all’ingresso settentrionale di Betlemme, e la zona circostante sono state direttamente coinvolte nel conflitto territoriale israelo-palestinese. Punto di riferimento del territorio sopravvissuto ai secoli, in tempi recenti è diventata a poco a poco un complesso fortificato circondato da un muro di separazione alto otto metri: un’enclave nel tessuto urbano palestinese accessibile solo ai devoti ebrei. La Grotta dei Patriarchi, a sua volta, è un monumentale edificio dell’epoca di Erode nella città vecchia di Hebron, luogo sacro sia per i musulmani sia per gli ebrei. Oggi il sacrario è accuratamente diviso in funzione di un uso separato da parte delle due religioni. In occasione di feste importanti, e dopo accurate ispezioni militari, il sito passa di mano per sole ventiquattr’ore, permettendo a una delle due parti di avere l’agibilità completa della Grotta. Nel giro di poche ore i locali ebraici o musulmani vengono sgomberati da ogni oggetto e restano vuoti per qualche momento, prima che i loro occupanti temporanei ci portino le loro cose e trasformino le stanze vuote in una moschea o in una sinagoga.
I curatori della mostra sono Deborah Pinto Fdeda, Ifat Finkelman, Oren Sagiv e Tania Coen Uzielli. I primi tre sono architetti, curatori e docenti di architettura presso il Dipartimento di Architettura della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme. Deborah Pinto Fdeda è un’architetta francese che, insieme a Ifat Finkelman ha ricevuto il premio Rechter for Young Architects (2016) . Oren Sagiv è stato capo progettista del Museo di Israele dal 2011 al 2017; ha completato i suoi studi in architettura presso il Cooper Union a New York. Tania Coen Uzzielli è la responsabile di Curatorial Affairs e curatrice presso il Museo di Israele.
Immagine di apertura: Sulla via per la Tomba di Rachele. Foto Gili Merin
- In Statu Quo. Structures of negotiation
- Israele
- Ifat Finkelman, Deborah Pinto Fdeda, Oren Sagiv e Tania Coen-Uzzielli
- Nira Pereg
- David Polonsky, The Mughrabi Ascent
- 16. Mostra Internazionale di Architettura
- Giardini della Biennale
- Sestiere Castello, Venezia