Fin dalla sua la sua nascita, la caffettiera si è distinta per essere un prodotto industriale capace di riunire intere famiglie attorno al segno di un architetto o designer. Sedotti da questa possibilità, in molti hanno modellato secondo il proprio modo progettuale un oggetto centrale dello spazio domestico.
In questo modo, nel corso degli anni, la caffettiera è diventata non solo un tratto distintivo di identità tecnica e culturale, ma un vero e proprio paradigma interpretativo di più vasti sistemi gastronomici.
Nella sua funzione di oggetto voluttuario, rappresenta la forma e la funzione al suo apogeo, nel suo uso rituale si traduce nel perfetto connubio tra l’esperienza sensoriale e quella tecnica.
A casa, un espresso come al bar.
Un oggetto di uso quotidiano elevato a rituale, con il quale si sancisce l’ingresso della modernizzazione, dei primi del novecento, tra le mura domestiche in chiave progressista.
In questo modo il caffè perderà, seppur solo in parte, il tratto distintivo di rito celebrato nello spazio pubblico per diventare una routine intima.
Sebbene già a partire dal 1819 con Morize vedrà la luce un primo modello di caffettiera (la napoletana), bisognerà attendere il secondo dopoguerra affinché questa si affermi come prodotto industriale.
“A casa, un espresso come al bar” così recita lo slogan che renderà famosa la Moka Express di Alfonso Bialetti. La caffettiera domestica automatica con impresso sul fianco l’inconfondibile omino baffuto.
Siamo di fronte a un prodotto di consumo divenuto l’elemento centrale di un ecosistema di architetture domestiche (teiere, tazze, tazzine, bollitori) volte a rendere armoniosa l’esperienza del caffè. Nel corso degli anni, la caffettiera ha assunto innumerevoli forme, con richiami architettonici come il campanile e la cupola, o attraverso l’incastro di geometrie euclidee: il cilindro, la sfera, il parallelepipedo. Tutti capaci di creare, per omologia figurativa, dei veri e propri elementi totemici.
Una menzione speciale va poi riservata a Vesuvio di Gaetano Pesce con cui, oltre a rendere omaggio ad una città intera, la caffettiera assurge a funzione di altare votivo.
In più di mezzo secolo la caffettiera è sopravvissuta al processo di crescente automazione e tecnologizzazione di tutti i suoi apparati, sintetizzandosi in una storia di somma di stili al contempo insostituibili ed incapaci di far invecchiare i precedenti. Un costume, una norma, una tradizione come nel caso della caffettiera capostipite dell’azienda di Carlo Giannini, Giannina La Tradizione pensata nel 1968 e tutt’ora in produzione.
Continua a rappresentare, di fronte all’ondata recente delle macchinette elettriche a cialde, una soluzione più sostenibile. Ma anche simbolica. Così, la caffettiera ha superato la mera dimensione “funzionale” per assumere un valore di conforto e convivio nelle cucine moderne.
Come scrive Mendini nel suo Elogio della caffettiera, “Ogni grande architetto ne ha tentato il progetto, ambisce a costruire una caffettiera così come prima di morire vorrebbe fare una torre”.