“Vedete quanto poco ci vuole per fare felice un uomo? Una tazzina di caffè…”: diceva così Eduardo De Filippo al termine del celebre monologo – nel secondo atto della commedia Questi fantasmi – dedicato a decantare le impagabili virtù della bevanda “color manto di monaco” che il suo personaggio, Pasquale Lojacono, preparava con cura e poi sorseggiava sul balcone di casa.
Se oggi la felicità legata a una tazzina di caffè – celebrata in tempi più recenti anche da Fabrizio de André (“Ah che bello ‘o cafè / pure in carcere ‘o sanno fa / co’ a ricetta ch’ a Ciccirinella / compagno di cella / ci ha dato mammà”) – è alla portata di tutti, lo si deve in buona parte all’intuizione di Alfonso Bialetti, che esattamente novant’anni fa, nel 1933, nella sua fabbrica di Crusinallo in provincia di Verbania inventava un oggetto destinato a rendere lui e la sua azienda famosi in tutto il mondo: la Moka Express, la caffettiera a pressione che consente a chiunque di prepararsi in casa un buon caffè espresso.
Il nome Moka deriva dalla città yemenita di Mokha, uno dei primissimi centri di produzione di caffè, ricordata anche da Giuseppe Parini nei versi di Il Mattino quando celebra le virtù della “nettarea bevanda” giunta “d’Aleppo e da Moca”. L’idea progettuale si dice invece sia venuta a Bialetti osservando la moglie che faceva il bucato con una vecchia lisciveuse, una sorta di rudimentale ma efficace lavatrice a caldaia in cui si faceva bollire l’acqua che poi saliva in un tubo, si mescolava con la lisciva e il sapone e poi ricadeva sui panni da lavare.
Da quel procedimento Alfonso Bialetti, che era ingegnere, trasse ispirazione per creare la sua mitica caffettiera: l’acqua contenuta nel bollitore in alluminio (materiale all’epoca molto caro ai futuristi…) a forma ottagonale si scalda e sale fino a incontrare il caffè macinato e depositato nel filtro a forma di imbuto, dove assorbe aroma e colore per poi adagiarsi nel bricco raccoglitore.
Semplice ma geniale. Tanto geniale da diventare in poco tempo uno degli oggetti del design italiano più apprezzati al mondo: si parla di centinaia e centinaia di milioni di esemplari venduti dagli anni Cinquanta a oggi. Con il suo inconfondibile design art déco, la Moka è però diventata quello che è – bisogna riconoscerlo – anche grazie a una strategia pubblicitaria fortemente innovativa voluta dal figlio del fondatore, Renato, e realizzata dal disegnatore Paul Campani che nel 1953 – proprio ispirandosi all’aspetto di Renato Bialetti – creò il mitico “omino coi baffi”, una figurina di immediata simpatia, prima veicolata attraverso una serie di vignette accompagnate dallo slogan (presto divenuto un tormentone) “Eh sì sì… sembra facile… fare un buon caffè!” e poi riprodotta anche sul fianco della Moka, diventando parte integrante dell’oggetto e realizzando uno dei primissimi esempi di partecipazione diretta – sia pure in forma autoironica e un poco fumettistica – di un imprenditore alla pubblicità di un suo prodotto.
Dal 1958, con l’approdo a Carosello, il flemmatico personaggio con in testa un cappello simil-borsalino (in Tv, doppiato da Raffaele Pisu, parlava muovendo la bocca che assumeva la forma delle lettere dell’alfabeto delle parole che pronunciava) diventa uno degli emblemi dell’età dell’oro dell’advertising italiano al pari della Linea di Cavandoli per Lagostina e del pulcino Calimero dei fratelli Pagot per Mira Lanza: simboli di una creatività che sa parlare a tutti nella convinzione di promuovere qualcosa che migliora la vita di tutti.