Nonostante vanti il più alto numero di architetti da premio Pritzker per l’Architettura dopo gli USA, il Giappone resta la terra indiscussa degli ingegneri e delle architetture prefabbricate, in un paradosso davvero sorprendente.
Tokyo senza architetti
Jan Vranovský osserva il “diagramma di forze” delle città giapponesi, piene di accostamenti inaspettati e dettagli che nascono spontaneamente, come un ecosistema vivo di architetture.
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- 29 novembre 2016
- Tokyo
I paesaggi urbani che ne risultano sono pieni di accostamenti inaspettati e di dettagli che emergono in modo spontaneo, come parte di un vero e proprio ecosistema vivente di architetture. Sarebbe una vera tragedia perdere ciò che D’Arcy Thompson definiva, nel contesto della biologia, “un diagramma di forze”: strutture nate non da dottrine politiche o estetiche, ma piuttosto da pressioni puramente sociali, storiche, economiche e naturali. È un’architettura onesta nata dalle sue condizioni iniziali, che non tradisce l’ego di alcun architetto o stile.
La mancanza di qualsiasi regolamentazione nella progettazione delle facciate, unita a una serie di specificità storiche e culturali proprie della nazione – tra cui la particolare reinterpretazione del funzionalismo, inteso come puro utilitarismo architettonico, privo del contesto sociale e ideologico che l’ha prodotto – si traduce in un “vernacolare dell’era tecnologica” squisitamente giapponese.
Jan Vranovský, nato nel 1986 a Praga, è un architetto ceco, grafico e fotografo, che vive e lavora a Tokyo. Durante i suoi studi universitari di architettura e produzione digitale presso l’Università di Tokyo, ha iniziato a fotografare le città giapponesi e i fenomeni all’interno del progetto “Parallel World”, interessandosi in modo particolare alle teorie della complessità e ai sistemi emergenti.