Dalle glorie alle macerie: è quello che capita un po' in tutto il mondo ad opere di architettura che per una certa stagione della loro vita sono state illuminate dalle luci della ribalta e che poi per alterne congiunture storiche – dal cambio di rotta del mercato, alle contingenze politiche, ai capricci delle mode o più semplicemente all’inesorabile passare del tempo trascorso senza riguardo alla loro manutenzione – hanno finito per essere cancellate dalla spugna della storia. Ed è quello che è capitato all’hotel Jugoslavija che, come suoi più celebri predecessori (a partire Imperial Hotel di Tokyo di Frank Lloyd Wright), hanno ceduto al colpo delle ruspe per obsolescenza e scarso interesse nella loro conservazione.
Quando fu inaugurato nel 1969, al tempo dell’allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (SFRJ), l’albergo figurava tra i primi 5 più grandi d'Europa ed era considerato uno degli hotel più lussuosi e belli al mondo, grazie anche al romantico affaccio sul Danubio, nonché “fiore all’occhiello” della politica internazionale di Tito.
La struttura imponente e muscolare abbracciava il lessico del socialismo reale in architettura, ammorbidito all’interno da un lusso disinvolto. Sotto i 40.000 cristalli del mitico lampadario di Swarovski che troneggiava all’interno (il più grande del pianeta, fino al 2010), si sono alternati vertici politici internazionali, feste mondane e ospiti altolocati, da Richard Nixon e Jimmy Carter, agli astronauti dell'Apollo 11, da Neil Armstrong a Tina Turner.
Con i bombardamenti della NATO del 1999, la struttura venne gravemente danneggiata e solo parzialmente ricostruita nello stesso anno in vista della riapertura per il Capodanno del 2000, forse nella speranza di un secolo meno tormentato. Dopo alterne vicissitudini finanziarie, nel 2006 l’azienda “Danube Riverside" promise di rilanciare l’albergo ma senza successo così, nel tempo, i fasti del passato si sono spenti tra alterne fasi di chiusura e riapertura in camere low cost, ristoranti dozzinali e un casinò di serie B.
Nonostante l’intrinseco interesse culturale, testimoniato anche dal documentario “Hotel Jugoslavia”, del regista svizzero Nicolas Wagnières, insignito dell'Orso d'Oro al Festival del Cinema di Berlino nel 2018, recentemente l’edificio è finito all’asta e pochi giorni fa sono iniziate le operazioni di demolizione, portando via le tracce di una memoria storica ed emotiva che va al di là del valore architettonico dell’opera.