Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 703, marzo 1989
Addio a Elio Fiorucci
Nel giorno della scomparsa di Elio Fiorucci riproponiamo la recensione di un’indagine critica che Giannino Malossi dedicò, alla fine degli anni Ottanta, al “fenomeno stilistico più complesso e innovativo del ‘900”.
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- Ettore Bellotti
- 20 luglio 2015
- Milano
Giannino Malossi, Liberi tutti. 20 anni di moda spettacolo. Prefazione di Natalia Aspesi. Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1988, pp. 149
Per capire le ragioni di un libro, di un’indagine critica su Fiorucci, occorre fare, innanzitutto, alcune precisazioni storiche sull’evoluzione del gusto e del costume in questo secolo. I tre più significativi avvenimenti che lo caratterizzano sono: la fine dell’Alta Moda francese (il ciclo che si conclude negli anni ‘60 con la scomparsa di Chanel, Dior, Balenciaga), l’affermazione del pret-à-porter industriale (dal 1975 in poi, Armani e il “Made in Italy”), e Fiorucci (dal 1968 al 1977). Dopo il 1945, al termine della seconda guerra mondiale, si compie, con la ricostruzione post-bellica, la riformulazione dei codici comportamentali e culturali. Christian Dior lancia il suo opulento e sensazionale “New Look”. Dior è il nuovo stilista francese incaricato di restaurare il prestigio dalla couture parigina in Europa. (Sarà lo stesso Dior ad aprire una filiale negli USA iniziando la produzione in serie del pret-à-porter). Il diffondersi però del nuovo modello di società consumistica, di importazione americana, indebolisce le tradizionali distinzioni di classe a cui si atteneva l’Alta Moda prima della guerra. All’inizio degli anni ‘60 emerge e si afferma un nuovo e vasto gruppo sociale: i giovani.
Culturalmente indipendenti e liberi da ogni convenzione, i giovani stimolano un generale rinnovamento del mercato. È la fine dei diktat stilistici (nonostante lo stilismo vero fosse ancora identificato con l’Alta Moda), è la voglia di prodotti nuovi che esprimano vitalità e fantasia. Molti impulsi alla formazione di una contro-cultura giovanile erano arrivati negli anni ‘50 dagli Stati Uniti. L’America aveva prodotto il rock’n’roll, il nuovo gergo, i nuovi eroi, i blue jeans. Ma la vera esplosione si avrà con la “Swinging London”, punto focale di questa nuova cultura. Fiorucci, conscio di tutto questo, lo rielabora progettando un’operazione di moda rivoluzionaria. La sua strategia stilistica non si baserà più sull’invenzione di forme nuove, ma sull’osservazione di tutti i segnali che provengono dal costume giovanile e sulla loro manipolazione tramite spostamento del segno. Fiorucci crea una sua metodologia progettuale basandosi sul: A – ridisegno dei prodotti industriali esistenti trasformando
le valenze funzionali in valenze ludiche. (Processo di estraneamento). B – materializzazione delle visioni dell’immaginario giovanile. (Mixed-Up,
Mass-Culture). C – riciclaggio del segno e dello stilema (dal cinema, dai fumetti, dal design, dalle uniformi militari, dagli abiti da lavoro). D – rielaborazione del costume in moda con lo postamento della forma, del colore, del materiale, dell’uso.
Il “sistema” Fiorucci è il rifiuto di tutte le regole e di tutti i valori della moda tradizionale. La moda pop (Carnaby Street, King’s Road) non era mai riuscita a realizzare i suoi intenti, a trasformarsi cioè in una operazione industriale. Elio Fiorucci diventa il guru della moda pop. Questo giovane imprenditore illuminato industrializza la moda pop trasformandola in moda di massa. È il successo commerciale, e Fiorucci diventa il termine di riferimento più imitato, per il mercato alternativo e giovanile, da tutti gli altri operatori internazionali. La veloce diffusione di questa nuova moda è dovuta, gran parte, all’intervento
che Fiorucci compie sull’immagine dell’azienda. La Corporative Image. La sua strategia aziendale prevede, infatti, investimenti equamente divisi tra il 50% prodotto e il 50% immagine.
I prodotti, gli abiti, devono essere “veicoli di notizie”, oggetti che provocano interesse, non solo merce da reclamizzare. L’immagine dell’azienda viene affidata, invece, a talenti internazionali quali Antonio Lopez, Pater Sato, Keith Haring, Peter Knapp, Warhol, e si materializza nei bellissimi poster, adesivi, shopping bag, merchandising di vario genere. Mendini, Sottsass, e altri designer famosi, sono incaricati dell’allestimento delle vetrine. (Lo Studio Sottsass progetta e realizza i negozi Fiorucci in franchising). La presentazione delle collezioni avviene allo Studio 54 di New York, la discoteca più glamour di quegli anni. Fiorucci è il primo creatore di moda pop che lavora per un sistema industriale (“Fiorucci per Fiorucci”). Pur non essendo uno stilista, ha dato vita ad un concetto di moda così potente da inglobare gli altri creatori all’interno del suo stile. L’azienda Fiorucci diventa un laboratorio internazionale di ricerca a cui collaborano consulenti stilistici importanti come Barbara Hulanicki di Biba, Vivienne Westwood, e a New York, Betsey Johnson. Il cliente di Fiorucci, consumatore di moda per eccellenza, avverte questa ricerca e si aspetta da Fiorucci l’informazione di moda. È significativo come il termine “Fiorucci”, nel gergo della moda, diventi un aggettivo che serve a definire gli abiti che riflettono la sua teoria, pur non avendo la sua etichetta. Questa è la prima volta che avviene nella storia della moda. L’aggettivo “Fiorucci” non rappresenta uno stile (come succede ad esempio con l’aggettivo “Chanel” che viene adoperato per indicare un manierismo chanelliano), rappresenta piuttosto una teoria, un mood. Ricercare una stilematica fiorucciana in questo senso è un’operazione errata.
Non è “molto Fiorucci” chi indossa un abito tagliato secondo questa o quella foggia e seguendo un canone già stabilito. È “molto Fiorucci” chi invece segue il velocissimo turn-over dei messaggi estetici lanciati dalle industrie culturali (periodici di moda, immagine, design, l’industria del rock, il cinema) che viaggiano in ritmo sincronico con la moda. L’estetica fiorucciana ha la qualità e la velocità dell’informazione trasmessa dai media delle industrie culturali. È un’estetica “informatica”, non è la moda, è il suo continuo divenire. Giannino Malossi in Liberi Tutti, ci restituisce il gusto e la bellezza delle immagini di Fiorucci che più amiamo.
Accentua, forse troppo, l’aspetto spettacolare dell’operazione Fiorucci. Fiorucci è multimediale dal punto di vista della comunicazione, della notizia, e non dello spettacolo. Non ha mai fatto pubblicità, almeno non come la si intende comunemente. I suoi canali pubblicitari sono stati quelli da lui inventati, come i poster, gli adesivi, ecc. Fiorucci è stato il fenomeno stilistico più complesso e innovativo del ‘900. La più importante evoluzione del gusto nell’era informatica.
L’imprenditore che ha rischiato più di tutti, rivoluzionando più cose di tutti: l’abolizione delle sfilate, delle scadenze stagionali, l’invenzione del catalogo, del video. Se è possibile fare un discorso di critica estetica per il cinema, per l’arte, perché non fare altrettanto per la moda? Fino a quando durerà il binomio qualunquista moda = frivolezza? Se una nota industria riesce a fare una mostra sulla cultura progettuale di una caffettiera...
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