Re-Living the City

Si è aperta il 4 dicembre la sesta edizione della biennale di Shenzhen di architettura e urbanistica “Re-Living the City”. Aaron Betsky racconta la “sua” biennale e i temi del futuro della città.

Situata in una ex-fabbrica di farine a Sekou, il distretto di Shenzhen nel quale sorgerà il museo del design, la biennale è stata curata da Aaron Betsky, attualmente Dean della Frank Lloyd Wright School of Architecture, Alfredo Brillembourg e Hubert Klumpner fondatori di Urban-Think Tank (U-TT), e Doreen Heng Liu fondatrice di Studio NODE. Domus ha intervistato Aaron Betsky, che ha scelto come tema curatoriale “Collage City 3D”.

  Simona Bordone: Questa biennale si chiama By-City, cioè Shenzhen e Hong Kong. Ma dov’è quella di Hong Kong? Aaron Betsky: Non ha ancora aperto. Da quanto capisco Hong Kong ha meno tempo e fondi per preparare la sua biennale. Simona Bordone: Sembra strano… Quindi c’è un diverso gruppo di curatori.
Aaron Betsky: Sì. Quella di Shenzhen è finanziata con denaro pubblico e da sponsor, l’investimento sulla biennale è una scelta delle amministrazioni. Hong Kong sta investendo nel museo d’arte contemporanea – (l’obiettivo è che la città diventi un polo di riferimento internazionale per il mercato dell’arte. N.d.R.). Quanto al denaro pubblico, ci sono grandi differenze sui fondi a disposizione delle diverse regioni.

In apertura: Silos, Dacheng Flour Factory, Sekou, Shenzhen. Qui sopra: Jimenez Lai, Lost & Found, dettaglio dell'installazione. Collage City 3D, 2015 Bi-City Biennale of Urbanism/Architecture (Shenzhen). Courtesy of 2015 UABB

Simona Bordone: Pensa che ci sia un approccio diverso tra le due città sulle politiche di sviluppo? Aaron Betsky: Non conosco abbastanza la situazione per poter rispondere. Simona Bordone: Crede che la sua visione curatoriale, cioè quella del riutilizzo e della trasformazione, sarà presa in seria considerazione dalla pubblica amministrazione di Shenzhen? Aaron Betsky: Questa è una buona domanda. Credo che questa biennale abbia avuto un effetto molto concreto perché sono stati rinnovati diversi edifici della storia urbana. OCT Loft ad esempio è nato dalla biennale (si tratta un piccolo capannone industriale con pavimentazione in mattoni, oggi un insieme di negozi raffinati, un piccolo albergo con laboratorio al piano terra, caffè e ristoranti, libreria e molto verde, circondato da edifici in cui si sono insediati i “creativi”. N.d.R.); nella precedente edizione si è trattato di una fabbrica di vetro e questa volta una fabbrica di farine e sappiamo per certo che la maggior parte degli edifici di questo complesso sarà conservato. Siamo anche certi di aver dato voce a molti architetti, urbanisti, artisti, alcuni dei quali hanno già partecipato a diverse biennali e credo che questo li abbia aiutati. Il fatto di aver dato loro un finanziamento per proseguire le loro ricerche, o anche solo aver acceso i riflettori internazionali sul loro lavoro, ritengo abbia una certa efficacia.

Hood Design, Symbiotic Village. Collage City 3D, 2015 Bi-City Biennale of Urbanism/Architecture (Shenzhen). Courtesy of 2015 UABB

Simona Bordone: All’interno della sua idea di collage, crede che gli spazi residuali, interstiziali siano importanti? Aaron Betsky: Sì, è proprio questo il punto. C’è così tanto spazio ancora sia negli edifici sia nelle città che si deve pensare a come riutilizzarlo. Una delle cose rilevanti di Shenzhen è che c’è molto verde, inclusa la trasformazione dei 26 chilometri di linea costiera in parco. Quello che mi auguro è che tutti gli spazi residui della città vengano trasformati in ambienti naturali e non in nuove costruzioni. Per quanto ho capito, – sia chiaro non vivo qui e quel che dico si basa su quanto mi è stato riferito – nel giro di dieci anni, forse anche meno, i confini tra Shenzhen e Hong Kong non ci saranno più e questo rende ancora più cruciali le decisioni che riguardano il futuro di quella che in qualche modo è una terra di nessuno: il braccio di mare tra le due città.

Langarita Navarro Arquitectos, Embodied Pelt. Collage City 3D, 2015 Bi-City Biennale of Urbanism/Architecture (Shenzhen). Courtesy of 2015 UABB

Simona Bordone: È soddisfatto della “sua” biennale? Aaron Betsky: Questa non è la Biennale di Venezia che esiste dal 1895 ed è un meccanismo ben oliato. Gli standard economici ed etici qui in Cina sono diversi da quelli a cui siamo abituati. Siamo continuamente messi di fronte allo scontro tra il lavoro, senza scopo di lucro, delle ONG, lo sforzo pubblico che deriva dai bisogni della collettività e la massimizzazione del profitto dei privati. Avrei voluto che fosse più chiaro ciò che è stato fatto dai curatori e quello che hanno fatto altri.

Studio Makkink & Bey, WorkScape Theatre. Collage City 3D, 2015 Bi-City Biennale of Urbanism/Architecture (Shenzhen). Courtesy of 2015 UABB

Simona Bordone: Ha un’idea di quale sarà il pubblico di questa biennale? Aaron Betsky: In termini di numeri mi dicono che sarà visitata da due/trecentomila persone dei quali la maggior parte studenti. Questo, se da un lato è un limite, rappresenta anche un grande potenziale per il futuro ma è difficile attirare un pubblico più ampio. A volte sono stato accusato, come curatore, di aver cercato il pubblico e per questo di non essere abbastanza rigoroso; qui, per la parte che mi riguarda, ho cercato di rendere la mostra accessibile a un vasto pubblico. Vedere le persone che entrano qui, vedono i silos, significa che almeno in parte abbiamo dimostrato la nostra tesi: far rivivere la città.

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