L’Italia? “Una bella addormentata, che si riposa sul suo enorme patrimonio artistico e lo lascia degradare senza fare nulla di risolutivo”.
Attizzare il fuoco culturale
In occasione di Meet The Media Guru, Domus ha incontrato Derrick De Kerckhove per parlare di tecnologia, patrimonio culturale, futuro dell’educazione e inconscio digitale.
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- Stefania Garassini
- 23 marzo 2015
- Milano
Derrick De Kerckhove, uno dei più autorevoli studiosi di nuovi media, considerato l’erede di Marshall McLuhan, autore di libri di riferimento come Brainframes e L’intelligenza connettiva, non può certo essere accusato di disprezzare il nostro Paese. Da anni vive tra Canada, Francia e Italia, a Napoli prima, dove ha insegnato a lungo all’Università Federico II, e più di recente a Roma. “Nell’ambito tecnologico, e soprattutto nel territorio di confine fra arte e tecnologia, ci sono molte realtà interessanti, ma isolate tra loro. A difettare è una strategia complessiva”.
L’occasione per questa sconsolata analisi è stata offerta dall’incontro organizzato alla Mediateca Santa Teresa di Milano da Meet The Media Guru, “Focus: Innovazione e Cultura”, con Freddy Paul Grunert dello ZKM di Karlsruhe, Alessandro Rubini, della Fondazione Cariplo e Maria Grazia Mattei, promotrice dell’iniziativa – dove de Kerckhove ha invitato ad “Attizzare il fuoco culturale”, come suggeriva il tema del suo intervento.
Voi italiani siete dotati di un alto tasso di creatività, che tuttavia trova ostacoli nell’assenza di un vero sistema e nella sostanziale paralisi dell’amministrazione
“Ci sono esperienze come il MAV, Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, che esiste ormai da più di dieci anni tra innumerevoli difficoltà, accanto a singole idee geniali, come quella dell’applicazione Museum Bubble, ideata dai fratelli Carraro, che consente di utilizzare l’iPad come una sorta di telescopio che visualizza spazi tridimensionali, un’esperienza citata da Steve Jobs nella sua presentazione dell’Ipad2. Voi italiani siete dotati di un alto tasso di creatività, che tuttavia trova ostacoli nell’assenza di un vero sistema e nella sostanziale paralisi dell’amministrazione”.
Una possibile strada per migliorare la situazione, secondo lo studioso, è rinnovare a fondo l’educazione. “Avremmo bisogno di un’operazione che definirei ‘Gesuiti 2.0’, una rifondazione della cultura simile a quella cui diede vita la pedagogia inaugurata da sant’Ignazio di Loyola che ‘formattò’ la mente occidentale a partire dalla scrittura e dalla conoscenza delle arti, incluso il teatro. In quel caso si capì molto bene che con la diffusione della scrittura andava ripensato ogni aspetto dell’educazione. Lo stesso dovremmo fare noi con il linguaggio digitale, approfondendo la conoscenza della cultura digitale e degli strumenti per metterla in pratica fin dagli anni della scuola. Vanno riviste tutte le conoscenze precedenti alla luce di queste innovazioni”.
Dovremmo prendere atto che il brainframe, per usare il termine introdotto dallo stesso Derrick De Kerckhove, ovvero le categorie profonde con cui interpretiamo il mondo, sono alterate dalle tecnologie digitali. Il brainframe alfabetico, che per lungo tempo ha dominato la scena, viene sostituito da quello digitale, dove il corpo è in rapporto diretto con le immagini e si riduce lo spazio di elaborazione mentale. Proseguendo su questa linea il prossimo passo è il rapporto con la tridimensionalità. “Dobbiamo imparare a pensare in 3D. È un’evoluzione cognitiva importante su una strada che è cominciata negli anni Cinquanta. Oggi i giovani vivono così: dentro e davanti allo schermo. Un punto di partenza interessante potrebbe essere l’uso più esteso delle stampanti 3D, che hanno costi sempre più abbordabili. La cultura elettronica 3D cambia radicalmente il nostro immaginario: la realtà virtuale funziona perché invece di essere spettatori siamo partecipanti. Ma questo passaggio ci deve trovare preparati”. Un altro aspetto che dovrebbe rientrare in questa nuova architettura educativa, e che sta particolarmente a cuore a De Kerckhove, è quello della privacy e della trasparenza.
Dobbiamo imparare a pensare in 3D. È un’evoluzione cognitiva importante su una strada che è cominciata negli anni Cinquanta.
“Esiste un vero e proprio ‘inconscio digitale’, ovvero tutto ciò che la Rete sa di noi e che è a disposizione di altri senza che noi ne siamo a conoscenza. Serve un autentico approccio etico: bisogna tornare al concetto di onore, di reputazione. Ho diritto di sapere che profilo ho per il mio supermercato, per il mio operatore telefonico e per tutti gli altri soggetti cui cedo i miei dati. Per garantirmelo occorrerebbe una legge, e prima ancora, dovrebbero diffondersi pratiche d’uso dei social media più consapevoli”. In sintesi, secondo lo studioso, ci vorrebbe “un’etica della trasparenza nell’era dei Big Data”. Senza però sopravvalutare i dati: è vero che in essi troviamo tutte le risposte, ma c’è il rischio di finire come quell’uomo di cui parlava McLuhan, avverte De Kerckhove: “L’uomo del ventunesimo secolo, che corre per strada dicendo ‘Ho tutte le risposte!’ Si, ma quali sono le domande?”.
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