Se chiedete ad Alberto Cairo di raccontarvi una storia con tutta probabilità lo vedrete prendere carta e penna e cominciare a tracciare linee, frecce, schemi, fino a realizzare una composizione visiva che riassume e collega gli snodi principali del racconto. Gliel’ha insegnato suo padre, quando era ancora un bambino: schematizzare interi libri in tavole sinottiche sintetizzando e creando connessioni tra gli argomenti.
L’arte di visualizzare le informazioni
Alberto Cairo ha il merito di trasformare il datajournalism nell’appassionante tentativo di dare un senso al diluvio informativo da cui siamo ogni giorno sopraffatti.
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- Stefania Garassini
- 31 gennaio 2014
- Madrid
A partire da quell’abilità, Cairo si è specializzato fino a diventare un autentico pioniere nel campo dell’infografica e della visualizzazione dell’informazione, prima come giornalista e responsabile grafico di quotidiani e periodici, in Spagna (ha anche diretto il dipartimento d’infografica online di El Mundo), in Brasile e negli Stati Uniti, poi come docente alla School of Communication dell’Università di Miami. Autore del libro “L’arte funzionale. Infografica e visualizzazione delle informazioni” (Pearson), Cairo ha il merito di trasformare un argomento che potrebbe sembrare piuttosto specialistico, adatto a grafici, giornalisti e informatici, nell’appassionante tentativo, che ci coinvolge tutti, di dare un senso al diluvio informativo da cui siamo ogni giorno sopraffatti.
“È assolutamente necessario utilizzare queste tecniche per trasformare la complessità del mondo in qualcosa che i lettori e i cittadini possano capire – spiega Alberto Cairo – e per farlo c’è bisogno di persone con competenze di statistica, programmazione e grafica che nelle redazioni lavorino fianco a fianco dei giornalisti. Nei più importanti giornali americani, in quelli che per il momento riescono a far fronte alla crisi del settore, come il New York Times, il Washington Post o il Boston Globe, esiste un data desk e la visualizzazione dei dati si integra a pieno titolo nel lavoro giornalistico, secondo il modello del datajournalism. Un ottimo esempio è la recente inchiesta sulle tariffe dei diversi ospedali.
Un lavoro del genere non sarebbe stato realizzabile semplicemente con un articolo, mentre grazie alla visualizzazione dei dati e alla loro esplorazione interattiva emergono informazioni estremamente utili per i lettori. Se li leggessimo su un foglio Excel gli stessi dati non avrebbero certo lo stesso impatto”.
Stefania Garassini: Il pubblico a suo avviso è pronto a recepire questo tipo di linguaggio? Alberto Cairo: Sono convinto che lo sia, i primi risultati delle sperimentazioni di datajournalism rivelano un grande successo di queste iniziative, che in alcuni casi hanno generato fino a un terzo del traffico sui siti delle testate che li ospitavano. Mesi fa il New York Times ha realizzato un servizio su una valanga caduta nello Stato di Washington molto complesso, costoso e di grande impatto visivo. Il servizio ha generato un’enorme mole di contatti al sito. D’altra parte non si tratta di un linguaggio completamente nuovo. Le tecniche di base della visualizzazione dei dati risalgono alla fine dell’800 e seguono l’evoluzione dei grafici e delle mappe. La differenza fra quei primi esperimenti e le complesse animazioni interattive attuali è soltanto quantitativa: oggi abbiamo un numero infinitamente più grande di dati e nuovi strumenti tecnologici per farvi fronte.
Stefania Garassini: Chi si occupa di visualizzazione dei dati è un architetto, un ingegnere, un grafico o un giornalista? Alberto Cairo: Dipende da cosa si vuol fare con quei dati: se si usa la grafica per organizzarli in modo da capirli meglio, allora le conoscenze scientifiche e statistiche sono essenziali. Se invece si vuol comunicare attraverso quei dati, occorre intrecciare molte competenze: giornalismo, grafica, programmazione, design dell’interazione, ergonomia e cartografia. Occorre conoscere gli elementi fondamentali di queste discipline, e poi specializzarsi. Ad esempio, nel mio caso l’area di specializzazione è il giornalismo. Il prodotto finale sarà sempre un lavoro di squadra. I dati non parlano mai da soli, ci vuole sempre una voce editoriale: sono una fonte cui si devono porre domande, come qualsiasi altra.
Stefania Garassini: Com’è nato il suo interesse per la visualizzazione dei dati? Alberto Cairo: Ho iniziato nel 1997 come giornalista, per qualche tempo ho lavorato in radio, poi alla Voz de Galicia cercavano una figura come la mia, in grado di scrivere ma anche di tradurre una storia o un insieme di dati in una rappresentazione visiva. Tuttora il mio lavoro consiste principalmente nel creare uno schema generale di come trattare un argomento: non produco direttamente le illustrazioni e non faccio programmazione, ma realizzo una sorta di mappa concettuale di come andranno strutturate le informazioni, tenendo sempre presente che si tratta di raccontare una storia, di scrivere un pezzo giornalistico. La capacità di pensare visivamente è alla portata di chiunque. Si tratta di imparare a fare schemi, e per questo bastano carta e penna: il software e la tecnologia vengono in un secondo momento. Adesso sto lavorando per creare ponti tra diverse aree: cerco di far sì che chi si occupa di visualizzazione dei dati capisca l’importanza dell’infografica tradizionale e viceversa, e di far aiutare i giornalisti a imparare a pensare in modo visivo per riuscire a collaborare meglio con chi si occupa della grafica.
Stefania Garassini: In Italia ci sono a suo avviso esperienze interessanti in questo campo? Alberto Cairo: C’è molta sperimentazione nei quotidiani, sia cartacei che online. Vedo un grande fermento d’innovazioni. Forse in alcuni casi sono tentativi un po’ troppo ambiziosi, ancora poco comprensibili per il pubblico, ma credo che la strada sia comunque quella giusta. Si tratta di allargare i confini, di ampliare le possibilità di raccontare storie attraverso i dati. E in alcuni casi emergono soluzioni molto interessanti.