Joost Grootens dirige uno studio con base ad Amsterdam orientato alla progettazione editoriale in ambito artistico, architettonico ed urbanistico.
I swear I use no art at all
Joost Grootens, rappresentante di spicco della grafica olandese, racconta a Domus il suo approccio alla cartografia e alla rappresentazione degli spazi urbani in occasione di un workshop tenuto presso l'ISIA di Urbino.
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- Roberto Arista
- 30 settembre 2013
- Amsterdam
Il suo lavoro è caratterizzato da un approccio analitico che lo ha portato a distinguersi nel panorama internazionale e ad ottenere prestigiosi riconoscimenti. Nel maggio scorso è stato invitato dall'ISIA di Urbino a dirigere un workshop dedicato alla rappresentazione degli spazi urbani. Usando come riferimento la mappa di Roma di Giovanni Battista Nolli del 1748, gli studenti hanno realizzato un atlante degli spazi pubblici di Urbino, ponendo particolare attenzione al mutamento delle nozioni di pubblico e privato nel passato recente.
Roberto Arista: Per iniziare potrebbe essere utile analizzare un paio di termini. A che definizione di mappa fai riferimento nel tuo lavoro? Joost Grootens: Non ritengo che debba essere necessariamente un pezzo di carta disegnato, ma deve comunque presentare alcune caratteristiche: una legenda o un sistema alternativo che permetta di comprenderne la chiave di lettura, una scala, una cornice, un titolo e chiari riferimenti sulla provenienza dei dati. Questa è l'essenza. Roberto Arista: In che rapporto sono le mappe e gli atlanti? Joost Grootens: L'atlante è una collezione di mappe, o, più precisamente, è una collezione di informazioni. Un libro che raccoglie dati tradotti visualmente, per quanto possibile, amalgamandoli in un sistema informativo dedicato ad un tema.
Roberto Arista: Il tuo studio ha curato negli anni moltissimi libri, ma con il tempo ti sei specializzato nella realizzazione di atlanti. Dove inizia un progetto del genere? Joost Grootens: Ho sempre introdotto nei miei progetti delle mappe, nel tentativo di organizzare o tradurre alcune delle informazioni che il libro doveva convogliare, anche nell'editoria d'arte. Raramente sono direttamente richieste, ma credo risultino un valore aggiunto importante all'interno dei progetti che curo. Per questo motivo uno degli editori con cui lavoro maggiormente, 010 Publisher di Rotterdam, mi considera il suo esperto di cartografia perché ho spesso proposto di aggiungere tavole cartografiche ai loro volumi. Quando arrivò il turno di curare un libro ricco di mappe, mi contattarono e lo trasformammo in un atlante. Giusto per rendere l'idea, l'80% dei libri che progetto erano già libri prima che me ne occupassi direttamente. Questo vale anche per Metropolitan World Atlas. Vengo spesso coinvolto nel loro sviluppo successivo, rendendo una pubblicazione consistente e graficamente corretta.
Roberto Arista: Che bisogno c'è di atlanti in un mondo in cui ognuno ha accesso a strumenti quali Google Maps o OpenStreetMap? Joost Grootens: È inutile tentare di far entrare GoogleMaps dentro un libro. Un atlante ha un tempo di sviluppo parecchio lungo, è costoso ed essendo carta stampata non è sostenibile per l'ambiente. Inoltre non può essere aggiornato facilmente. Considerato l'alto costo, sotto diversi punti di vista, replicare uno strumento che ha le sue peculiarità nella natura digitale non ha senso. Gli atlanti su cui ho lavorato sono tematici, hanno a che fare con un argomento specifico: un piano di sviluppo urbanistico, un preciso insieme di città, questioni storiche. Sono questi temi a rendere un atlante interessante e consistente. Molti dei libri che realizzo li definisco Google Books: l'autore colleziona i dati su internet o attraverso altre fonti, creando un enorme database di informazioni con cui lavoro, sforzandomi di renderlo accessibile. Il succo è lì, aprire differenti porte d'accesso, collegare gli elementi fra loro.
Roberto Arista: Osservando i tuoi libri, è possibile notare che il colore è una delle variabili visive su cui ti concentri maggiormente. Inoltre, i colori presenti negli atlanti che hai curato, si distaccano notevolmente dalla cartografia classica. Come li progetti? Joost Grootens: È vero, dedico molto tempo a questa componente del progetto, curo tutto il resto chiaramente, organizzazione, formati, segni, ma penso che il colore sia una delle variabili più espressive di quello che realizzo. Ho cominciato come pittore, sono diventato architetto, e poi grafico. Probabilmente il colore è uno degli strumenti che mi è più naturale, come progettista. Il punto da cui parto è sempre l'osservazione degli standard. Cosa si aspetta il lettore? Che l'acqua sia blu, le case rosse, la ferrovia tratteggiata in un certo modo, l'autostrada differenziata dai sentieri e via dicendo. A questo punto bisogna stabilire come enfatizzare il contenuto che dobbiamo veicolare agendo sulle tinte. Enfatizzo i colori modificandone la brillantezza, rendendoli più chiari o scuri, e utilizzando inchiostri speciali. Tendenzialmente imposto due tavolozze, differenziando il primo piano dallo sfondo. Non credo che un lettore possa gestire agilmente più piani di lettura, sarebbero visualizzate troppe informazioni.