Nello studio di Arnaldo Pomodoro, una “kasbah” a Milano

“Sono arrivato a Milano nel 1954, partito da Pesaro, insieme a mio fratello Giò, con un sogno globale”: lo scultore racconta il suo storico spazio di lavoro, una ex posteria rinnovata per lui da Gregotti negli anni Ottanta.

Qasba, o kasbah che dir si voglia, ma il suo significato non cambia: è un luogo che preserva, un punto di incontro per i viaggiatori, dove rifocillarsi dopo un lungo viaggio e chiacchierare del mondo. Ed è nell’angolo più antico della Darsena milanese, dove ancora si vedono le pietre delle lavandaie e gli attracchi dei barconi, che Arnaldo Pomodoro ha voluto il suo studio, che si articola in un dedalo di ambienti: “Nel 1968 ho trasferito il mio studio in questa zona che era un mosaico di abitazioni popolari, ma soprattutto di piccoli laboratori”, spiega a Domus. “Negli anni sono riuscito a convincere alcuni proprietari a cedermi degli spazi e così lo studio è cresciuto, diventando non solo il luogo dove realizzare le mie sculture, ma anche dove conservarle e dove dotarmi di un archivio, che negli anni si è arricchito a dismisura.”

Nello studio di Arnaldo Pomodoro. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro
Una veduta dello studio di Arnaldo Pomodoro negli anni Settanta. Foto Attilio Del Comune. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro

Da qui, Arnaldo Pomodoro ha scelto di non spostarsi più, legandosi a Milano e a questo quartiere. “Amo lavorare entro il tessuto urbano perché ho bisogno degli stimoli della città e la posizione in cui si trova questo studio è molto positiva per me, l’atmosfera mi è congeniale”, spiega a Domus. “Anche se la vita è faticosa e piena di tensione, il lavoro mi riesce meglio che in qualsiasi altro luogo, tanto che per me lo studio è come se fosse la mia casa”.

È Vittorio Gregotti, all’inizio degli anni Ottanta, a dare vita ad un progetto di ristrutturazione che pur mantenendo le caratteristiche originali dello spazio, che era una posteria, lo trasformerà in un luogo accogliente e funzionale, dov’è racchiusa tutta l’esistenza di un artista, la cui opera, da qui, si dirama nel mondo.

Progetto di ristrutturazione di Vittorio Gregotti. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro
Progetto di ristrutturazione dello studio. Disegno di Vittorio Gregotti, 1980. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro

“Quando pioveva scendeva acqua dal tetto e ne entrava dal sottosuolo per mancanza di buone canalizzazioni, perché qui il livello è più basso di quello dei Navigli. Io, che ho sempre avuto il timore dell’acqua, vivevo con il complesso dell’annegamento!”. Arnaldo Pomodoro spiega come Gregotti, pur mantenendo le caratteristiche antiche della posteria, sia riuscito a ristrutturare il tutto “in maniera molto semplice e razionale ed escludendo con un sistema di tre pozzi sotterranei il pericolo di allagamento”.

  

Ed è così che piano piano, in questa piccola oasi, protetta da un platano di più di 200 anni, hanno convissuto tutte le anime dello stesso luogo: studio, laboratorio, fondazione e oggi anche spazio espositivo dove, con cadenza annuale, si raccontano ed approfondiscono temi e periodi poco conosciuti della ricerca di Pomodoro, esponendo opere, documenti e materiali d’archivio originali.

  

Proprio in questi giorni lo studio ospita un capolavoro ritrovato: “L’inizio del tempo n. 2” (1958 – 230 × 270 cm), un grande bassorilievo in piombo, zinco e stagno, proveniente da Colonia e restaurato nel corso del 2021. Un segno gestuale e assoluto che indaga lo spazio e il tempo, quasi a volerne intrappolare nella materia la loro origine.

Osserviamo il maestro, che a sua volta osserva la sua opera, insieme a Laura Berra, responsabile della collezione, e ci confessa che il suo studio oggi è esattamente come un giorno lo vorrà lasciare: luogo di ricerca, di pace, di creazione.

Arnaldo Pomodoro e “L’inizio del tempo n. 2”. Foto Elena Vaninetti
Arnaldo Pomodoro di fronte all’opera L’inizio del tempo n. 2, 1958

Proprio qui, nel laboratorio che ha dato vita alle sculture più maestose e che ha anche ospitato tanti momenti conviviali con amici e collaboratori, oggi si possono sentire le risate dei bambini quando partecipano ai tanti laboratori di scultura organizzati dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro.

“Ho sempre sentito in me la necessità di un coinvolgimento concreto dal punto di vista sociale”, spiega lo scultore, che sottolinea l’importanza che ha per lui sempre avuto la connessione con la città, con Milano. “Uscire dal proprio studio, dove si lavora e si è protetti dalla propria torre d’avorio, non è una facoltà, è un dovere. Ho sempre pensato che il compito dello scultore sia quello di mettersi in gioco e coinvolgersi con il tessuto urbano della città, facendo sentire l’importanza pubblica di tutta l’arte, non solo della propria”.

Festa di Natale in Studio, 1990. Courtesy Archivio Arnaldo Pomodoro
Festa di Natale nello studio, 1993. Foto Carlo Orsi. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro

“Più sei bravo e più ti voglio bene”, si legge nella dedica di Monica Vitti sulla foto che troneggia davanti alla sua scrivania. È stata scattata nella Sala personale della Biennale di Venezia del 1964 e ritrae di profilo l’icona del cinema italiana recentemente scomparsa, con le sculture di Pomodoro alle spalle. E prosegue: “Dove andremo a finire?”.

Arnaldo Pomodoro e Monica Vitti. Couretsy Fondazione Arnaldo Pomdoro
Monica Vitti e Michelangelo Antonioni fotografati nella sala personale di Arnaldo Pomodoro alla Biennale di Venezia del 1964. Foto Giorgio de Cesare. Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro

Arnaldo Pomodoro è nato a Morciano di Romagna nel 1926, ha vissuto l’infanzia e la formazione a Pesaro. Dal 1954 vive e lavora a Milano. Le sue opere sono presenti in spazi urbani in Italia e all’estero e nelle maggiori raccolte pubbliche nel mondo. È considerato uno degli artisti più significativi del panorama contemporaneo. Nel sommario, riportiamo il sottotitolo di un intervento dell’artista per il libro Milano città narrata, a cura di A. Gaccione, Meravigli, Milano, 2013, pp. 128-130

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