Milano, 2022: “Te lo ricordi, no? Quando si andava a Lambrate, così, anche senza motivo ma si andava”. Nel frattempo, a Torino, i residenti dei quartieri periferici più difficili rifiutano un altro progetto di arte contemporanea, “che tanto tra un anno se ne va, e lascia niente”. Poche ore dopo, il sole si alzerà a New York, sui generici balconi in vetro dei recenti palazzotti di Long Island City e West Williamsburg, epilogo edilizio quel fermento di piccoli laboratori, locali e negozi che 20 anni fa aveva riattivato le sponde indefinite dell’East River, spandendo il verbo hipster sul pianeta.
Torniamo a Milano. Qui i grossi limiti del placemaking temporaneo sono ormai sotto il naso di chiunque, la Design Week sembra avere ricevuto il messaggio solo parzialmente, ma anche tra i milanesi, è circolata una domanda che fino a qualche giorno fa sarebbe suonata strana: “Allora: Baranzate?”
Per chi non li avesse visti, i cosiddetti Baranzate Ateliers sono stati il takeover più inedito di tutti, e non solo per distanza: 3000 metri quadrati di capannone di proprietà Necchi, fuori da qualsiasi quadrante o distretto, nessun intervento di restauro, una grande sala di esposizione per i pezzi da collezione di 23 designer, con arazzi e tavoli di marmo sopra i pavimenti in cemento spaccati, un dancefloor nella sala controlli, l’accesso da un buco nel muro tra due ali di camper.
L’ennesima meraviglia temporanea da Design Week, testa di ponte per avanzate della gentrification su fronti sempre più improbabili (Cinisello is the new Brera)? Non necessariamente.
Baranzate Ateliers non nasce dal nulla. Curato dal designer, artista e architetto d’interni belga Lionel Jadot, Zaventem Ateliers è un progetto che trasforma spazi industriali dismessi in “un vivaio di designer”, come ce lo racconta lo stesso Jadot. Nello spazio recuperato, si installa una squadra selezionata curatorialmente – per approccio alla creazione e buona vibrazione che si viene a creare – che cresce insieme, contaminando i propri metodi e le proprie ispirazioni, spesso attivando progetti comuni, condividendo orizzontalmente tutto, dagli spazi alle spese financo ai clienti.
Zaventem Ateliers si concentra sul collectible design, e mette in diretto contatto designer e clienti, “non è un design market, c’è qualcosa di molto più vitale a tenere tutto insieme”, dice Jadot.
È un sistema, un concept di condivisione che l’anno scorso si è tentato di esporre in Milano Design Week ma in città, in spazi da subito percepiti come inadeguati; Alessandra Necchi ha allora proposto le strutture di sua proprietà di una ex tipografia a Baranzate, sul cui futuro recupero si stava attivando. Ed ecco per il Fuorisalone 2022 gli Zaventem Ateliers milanesi che abbiamo potuto vedere: “un bilancio più che positivo” conferma Jadot “un afflusso enorme di persone che hanno apprezzato sia la brutalità del luogo intatto sia la qualità di ciò che ospitava”.
E adesso? “Adesso dovremo disallestire, ma già ci sediamo ad un tavolo con Necchi per far sì che il progetto abbia un seguito, si tratta di un processo di ricerca ma soprattutto selezione di investitori, per riutilizzare gli spazi di Baranzate in una modalità alternativa alla ormai classica speculazione. Per questa ragione, perché lo spirito di Zaventem Ateliers possa attivarsi anche qui a Milano, è necessario che l’investimento non risulti eccessivamente appetitoso dal punto di vista finanziario”.
Non si cerca una forma di beneficenza, ma una committenza illuminata, ci spiega ancora Jadot, “servono soggetti, e ce ne sono, che abbiano risorse da collocare e intenzione di collocarle in progetti che producono senso”. Questo atteggiamento allarga lo sguardo ad una visione della città, di una sua crescita che sia però critica rispetto ai meccanismi speculativi spesso trainati da eventi e interventi temporanei, qualcosa di più strutturale e nutriente per l'intero corpo urbano.
Il cuore resta in ogni caso il concept di Zaventem/Baranzate, dice Jadot, che in qualsiasi città può essere insediato, purché abbia un passato produttivo industriale, per poter attivare quella dinamica di “riciclo” degli spazi e circolarità delle pratiche che abbiamo assaggiato a Baranzate.
E su cui saremo i primi ad aggiornarvi, a partire dal prossimo capitolo di qualcosa che – pare – non è destinato a esaurirsi col finire di un’altra Design Week.