In una Design Week in cui il Fuorisalone ha fagocitato per rilievo mondano ed eco mediatica la fiera vera e propria, da un decennio a questa parte la mano della moda (quella di lusso, soprattutto) continua a espandersi sull’evento, mostrando oggi un rapporto osmotico tra i due settori.
Che si tratti di party esclusivi, negozi pop-up o vero e proprio mecenatismo culturale, Design e Fashion Week sembrano ibridarsi all'insegna del “tutto fa design”. Dopotutto, nella Milano degli ‘80 era stato il visionario Elio Fiorucci a intuire, in anticipo di decenni, il potenziale di una collaborazione con Archizoom.
Se per Hermès il rapporto con il design sembra scivolare in secondo piano con una collezione di tableware e tessuti eclissata dalla mondanità di uno champagne party e dalle mise dei suoi invitati, Louis Vuitton si fa promotore di un’articolata collezione di arredo che insegue il concetto del nomadismo – troppo spesso sintetizzato in un’opinabile declinazione shabby chic.
Alla tre giorni di Prada Frames, invece, lo studio di design Formafantasma cura un simposio di conversazioni per indagare il complesso rapporto tra progettazione e ambiente naturale. Un evento encomiabile in cui il brand di moda milanese si erge su tutti i competitor come un consapevole e lungimirante mecenate, attento alla multidisciplinarietà di moda e design.
Un concetto caro al compianto Virgil Abloh, la cui eredità è raccolta sia da Cassina che da Alessi, che nella cornice del Teatro Manzoni presenta la riuscitissima collaborazione postuma su un set di posate dal gusto industriale e utilitario. L’allestimento, che strizza l’occhio al Pratone Gufram, è accompagnato da un video 3D e filtro Instagram realizzato da No Text Azienda – studio creativo che, non a caso, ha spesso operato nell’ambito della moda. Pur diversa nei contenuti, anche Sunnei afferma – in questo Fuorisalone nella collaborazione con Bloc Studios - il suo ruolo di promotore di una moda attenta e geniale nella realizzazione di accessori di design.
C’è poi la moda come e-commerce, che anche alla Design Week ribadisce la sua influenza sullo zeitgeist. Non è un caso che al party allestito dal gigante Yoox si ritrovino i più giovani interpreti dello spirito del tempo a ballare durante la performance del collettivo European Vampire di cui “Zeitgeist” è proprio il titolo di una canzone.
Il design, alle volte, sembra un segnaposto, una scusa pur di esserci. Il decano Paul Smith piazza un Cactus Gufram nell’attiguo negozio di Via Manzoni per celebrare il suo dialogo con i profumi Aesop. Analogamente, molteplici realtà si lanciano in collaborazioni, come quella tra lo store di abbigliamento WOK e A.P. Ceramiche, o quella del brand MSGM e ME per il nuovo scooter elettrico Fantastic ME. Tutto pur di non mancare l’appuntamento e, soprattutto, allestire un vernissage.
La moda ha portato anche alla settimana del Salone quell’attitudine da passerella urbana che apparteneva alla Fashion Week. Se in passato il posizionamento sociale degli insider del mondo del design passava dalle loro tote bag, oggi via Maiocchi – casa dell’omonimo Spazio – con i suoi mullet e scarpe da trekking dalle velleità futuristiche è la più lampante incarnazione di come la moda ambisca a essere percepita sullo stesso piano dell’arte e del design.
Qui Brain Dead, uno dei brand di streetwear maggiormente attenti a capsule collection che esulino dal puro abbigliamento, presenta una poltrona fatta di t-shirt dismesse – con Balenciaga a seguire a ruota nella sua vetrina in Montenapoleone. Dove, invece, sotto il sole di Brera, zompettano tra un Dolce&Gabbana e un Valentino lucertole agée in twin set di Chanel.
C’è poi Carhartt, che già da tempo patrocina iniziative culturali (come lo spazio per la ricreazione condivisa DOPO? e il libro di Forgotten Architecture), che rimpolpa in macroscala l’attenzione della moda contemporanea sulle giacche da lavoro, come a battezzare l’uniforme dei demiurghi della materia.
È però Capsule, la nuova testata per una International Review of Radical Design & Desire Theory e la capsule chair progettata da Nuova, nate su iniziativa del magazine Kaleidoscope, a mettere più profondamente in luce non solo la tensione dell’industria del fashion per il design, ma il più generale – il lettore scusi il termine – l’hype generato da quest’ultimo nella cultura contemporanea.
Nelle parole del suo editor Alessio Ascari, “radical” è soprattutto un termine “funky”, che influenza con attitudine da campionamento hip-hop un pastiche di reference iconografiche al fine di “ispirare il modus operandi di una nuova generazione”.
Viene, dunque da domandarsi se i radicali fiorentini o Mario Bellini seducano oggi l’immaginario collettivo al pari di una t-shirt o un paio di nuove sneaker. Oppure, se la moda – spesso ancora erroneamente percepita come un settore vanesio e superficiale – ricerchi un confronto con il design per elevare il proprio status.
Allo stesso tempo è palese come la ricerca sui materiali e sulle forme condotta dalla moda, occupi una posizione paritaria a quella che in passato spettava ai designer di interni. Una trasformazione da accreditarsi alla spinta dal basso dello streetwear, fil rouge di queste interazioni multidisciplinari, che trovano nella Design Week il loro nuovo palcoscenico di riferimento.
Se in ieri era il design – specialmente nella sua corrente radicale – a farsi interprete di vocazioni militanti, oggi la moda è il settore creativo che più si sente investito della responsabilità di temi politici come la sostenibilità e la circolarità.
Immagine in apertura: Prada Frames. Courtesy Prada