Arte, design, moda: 15 concept store imperdibili in tutto il mondo

Non sono semplici negozi, ma luoghi dove la narrazione sublima l’esperienza dello shopping. E da quando sono nati dettano la tendenza in tutto il mondo. 

Dallo storico Colette a Parigi, chiuso nel 2017 dopo il ritiro della omonima fondatrice, al recente Boon the Shop a Seoul, esistono realtà commerciali che da decenni sfidano la rapidità e l’aspetto effimero dell’esperienza d'acquisto per trasformarla in qualcosa di più suggestivo e memorabile: sono i concept store, molto più di semplici negozi.

In questi spazi, gli oggetti non sono solo esposti, ma interpretati, raccontati e vissuti in un’atmosfera che invita alla scoperta e all’apprezzamento della loro unicità e della creatività che c’è dietro. Sono veri e propri incubatori di tendenze, luoghi di espressione culturale con un saldo il legame con il contesto locale e la sua identità. Un concept store di Parigi, insomma, non potrebbe mai essere a Città del Messico o Tokyo, o viceversa.

Qui, il valore di ciascun oggetto si misura nel modo in cui è collocato accanto ad altri e nella relazione sinergica con l’ambiente circostante.
 


Fu una Mary Quant poco più che ventenne che concepì il primo modello di concept store. L’icona della moda londinese di metà Ventesimo secolo ancora prima di diventare celebre per la minigonna aprì il Bazaar di King’s Road nel 1955. Arredato dal designer Terence Conran, questo spazio divenne rapidamente un punto di ritrovo per gli appassionati di arte, musica e design. Ma è stato Ralph Lauren che nel 1986, all’interno di un vecchio palazzo neo-rinascimentale a New York, ha definito la nuova concezione di spazio commerciale che conosciamo oggi, offrendo ai clienti la possibilità di immergersi in un’esperienza che unisce l’eccezionale al familiare. Charles Fagan, responsabile dello staff di Ralph Lauren, ricorda le parole dello stilista nel primo giorno di apertura: “New York può essere un luogo ostile e io desidero che le persone entrino qui e sentano il vostro calore, come se li invitaste a casa vostra”. L’arredamento si proponeva come un’oasi lontana dal frastuono della città, diventando una “seconda casa” per le celebrità. Fagan ricorda le visite di Jackie Onassis e quelle private di Audrey Hepburn, ma sottolinea che lo spazio attirava tutti, non solo i ricchi e famosi. 

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