L’idea che il design sia orientato a massimizzare il benessere dovrebbe mettere – o almeno così crediamo – tutti d’accordo. Che si tratti di soddisfare un bisogno attraverso un oggetto, o che si tratti di farlo in maniera più efficiente, più ergonomica, più armoniosa o più in linea coi tempi, il design si è sempre messo al servizio delle esigenze dell’uomo, sia attraverso sforzi di anticipazione capaci di visionarietà che di accelerazione consumistica.
Design della felicità: progetti che vogliono solo renderti felice
Oltre che uno strumento di benessere, il design può essere prima di tutto una opportunità per raggiungere la felicità attraverso il diritto all’immaginazione.
Pubblicato su Domus 1071, settembre 2022
Domus 1071, settembre 2022
Foto di ibosio da wikipedia
Foto dall’archivio di Domus
Domus 455, ottobre 1967
Courtesy Fuse project
Stefan Sagmeister
The Happy Show, 2015
MAK
Stubenring 5, Vienna
Foto da domusweb.it
© Daria Scagliola
Yinka Illori: Parables of Happines at the DesignMuseum. Photo: FelixSpeller
View Article details
- Giulia Zappa
- 26 giugno 2023
Il rapporto del design con la felicità, che del benessere è parente stretta, è certamente più sfuggente. Il compito di realizzare un oggetto felice può apparire arduo, o almeno difficile da inquadrare e definire. Cosa dovrebbe fare, del resto, il design della felicità? Rispondere ad un desiderio? Assecondare una virtù? Promuovere il gioco? Incoraggiare l’ottimismo? O, seguendo le neuroscienze, soddisfare gli impulsi dei nostri ormoni, come accade con le scariche di dopamina – l’ormone del piacere – che ci procurano i like sulle interfacce dei nostri social media?
Eppure, qualcosa si muove negli ultimi anni. Il design sembra infatti guardare alla felicità in maniera più convinta. Lo fa in maniera diretta, con oggetti, ricerche, riflessioni, mostre, sia quando la felicità diventa un esplicito dominio di ricerca – si pensi al caso di Stefan Sagmaister – o quando, con sempre maggiore frequenza, la sfera del progetto si occupa – scherzosamente ma non troppo – di disegnare una schiera nutrita di attrezzi del piacere sessuale, i sex toys.
Lo fa migliorando il nostro ambiente urbano, puntando sul colore come strumento in grado di ravvivarci e creare comunità. O ricordandoci l’importanza del movimento per sprigionare le energie del corpo, viatico di gioia e appagamento. In un tempo di aspirazione alla felicità resa manifesta dalle nuove generazioni e dal dibattito pubblico – pensiamo alla proposta di revisione della Costituzione italiana per inserire un diritto alla felicità – il design saprà sviluppare un suo Gross National Happiness Index? Accontentiamoci, almeno per il momento, che riesca a sollecitare gli impulsi della nostra immaginazione: un contributo più che apprezzabile per compiere felicemente il suo ruolo.
Il playground è l’apoteosi della felicità spensierata e in costante divenire, che confonde in un unico magma la complicità ritrovata con i propri compagni di gioco e lo slancio del corpo verso nuove posture e nuovi limiti. In Francia, a cavallo tra i Trenta Gloriosi e il ’68, il Group Ludic si forma sotto l’impulso di un disegnatore e stilista di moda, di un architetto e di un artista (rispettivamente David Roditi, Simon Koszel, Xavier De La Salle). L’idea: rendere pervasiva una cultura del gioco capace di superare la triade altalena-scivolo-recinto di sabbia. Il trio realizzerà circa 150 installazioni in tutto il mondo distribuite tra villaggi vacanza e grands ensemble. Come una sorta di minimo comune multiplo, la rotondità della sfera diventerà il modo con cui dare vita ad una possibile narrativa del gioco, capace di alimentare storie e nascondigli proprio nell’articolazione tra i suoi moduli. Tra le cause dello scioglimento del Group Ludic nel 1992, anche l’inasprirsi delle regole di sicurezza, i cui vincoli stringenti favorirono un ritorno ad i classici giochi da parchetto.
C’è ancora bisogno di una nuova sedia? Spun è l’eccezione che conferma la regola. Impostasi fin dalla sua uscita nel 2010 come una ventata di aria nuova, Spun abolisce la staticità e la compostezza della postura. Ma non è soltanto il movimento indotto dalla forma a trottola a fare la differenza. Spun è un invito calcolato a perdere il controllo; che è ciò che accade quando, nel corso del suo turbinio, la testa va all’indietro mentre i piedi si sollevano verso l’altro. Un invito indiretto ad uscire dalla comfort zone, e a sperimentare ancora una volta il sentimento di libertà e abbandono indotto dal movimento.
Lo sdoganamento del kitsch è un viatico per la felicità? E si possono sognare sogni migliori se l’immaginario che il letto veicola è esplicitamente pop, audace, totemico e animato da un forte portato simbolico? È l’auspicio di questa celebre serie di quattro letti progettati da Archizoom Associati. Ribaltando proporzioni e metriche certe, e con esse il borghese buon gusto, questi letti sono quanto meno un invito ad abbracciare un grande slancio libertario, da perseguire tanto ad occhi chiusi che nella quotidianità diurna del proprio spazio domestico.
Se il piacere sessuale è tra le più ovvie forme di felicità, i sex toys sono uno strumento oramai sdoganato per accelerarne l’intensità. Il design ha voluto contribuire a questa categoria di oggetti relativamente nuova cercando di trovare più approcci ergonomici e allo stesso tempo meno convenzionali per esaltare questa estasi effimera. Guardiamone alcuni esempi: lontano anni luce dalla volgarità un po’ glossy e sovradimensionata di tanti sex toys, Form 3 esalta l’effetto del tatto attraverso la pressione esercitata su una membrana in silicone.
Vesper è inceve un sex toy gioiello: portato al collo come una compassata rivendicazione, si esibisce con nonchalance anche grazie al suo spiccato minimalismo.
Pensato per sensibilizzare le percezioni tattili di tutto il corpo, HelloTouch è un vibratore che si fissa al polso e che collega le estremità delle dita con dei supporti vibranti.
Tra i designer contemporanei, Stefan Sagmeister è forse quello che più di tutti ha sperimentato con un approccio quasi scientifico la via per la ricerca della felicità sulla propria persona. Usando il design come uno strumento per plasmare la sua biografia e le sue esperienze, il grafico austriaco ha dedicato uno dei suoi anni sabbatici a testare cosa lo rendeva felice – la meditazione, l’amore, le droghe? – e a misurare cosa funzionasse meglio. Il risultato è stato raccontato attraverso una mostra storica, “The Happy Show”, una traduzione del concetto di felicità in azzeccate metafore visive nonché un invito per ciascuno di noi ad allenare il nostro muscolo della felicità.
Considerata come la prima designer di mattatoi, l’americana Temple Grandin concepì la squeeze machine – anche nota come hug machine – per portare sollievo al sovraccarico sensoriale determinato dal suo autismo. Fine conoscitrice della psicologia animale, Grandin aveva infatti notato che le vacche si tranquillizzano quando inserite in una squeeze chute, una struttura che comprime il loro corpo. L’opera di Lucy McRae si ispira allo stesso principio ma ne attualizza il contesto. Pensando ad un mondo sempre più digitale dove l’interazione tattile tra le persone si fa più rara, la sua Compression Cradle compensa la mancanza di contatto fisico rigenerando i benefici fisici che si verificano attraverso il contatto tra individui, primi tra tutti la produzione di ossitocina, l’ormone responsabile per la costruzione di fiducia e connessione. Compression Cradle è stata esposta nel 2019 alla Esposizione Internazionale della Triennale nel Padiglione olandese.
Reso celebre negli ultimi anni per un vibrante ed istintivo approccio al colore, che si applica senza soluzione di continuità su mobili, interni, fotografie e installazioni, il britannico-nigeriano Yinka Ilori è un paladino della relazione virtuosa che esiste tra colore e felicità. La mostra “Parables of Happiness”, tenutasi al Design Museum di Londra, ha restituito in un vasto caleidoscopio cromatico la sua poetica, testimoniando anche la vivacità culturale del mix di identità della Londra contemporanea. Celebri anche i suoi interventi urbani e di urbanistica tattica – uno su tutti Happy Street del 2019 – che dimostrano come la positività del colore serva da legante collettivo e da simbolo di riscatto per i luoghi negletti e dimenticati.
Molti aspetti della nostra vita sono stati trasformati in data set ad uso e consumo di indici e statistiche. La rilevazione della felicità, ci dicono dal team di Hedonometer, sfugge però a questa identificazione quantitativa. Per colmare questa lacuna, il progetto Hedonometer ha elaborato un algoritmo che attinge i propri dati proprio là dove le persone esprimono maggiormente i propri sentimenti: i social network. La loro interfaccia traduce in una timeline come le persone dichiarano di sentirsi: un modo non solo per cogliere l’andamento dell’umore collettivo, ma anche per registrare come alcuni eventi impattano i nostri sentimenti. La ricerca di Hedonometer è diventata a sua volta un data set per altri interventi artistici, come quelli del visual designer Giuseppe Lo Schiavo.